Bitcoin, un milione in tasca ora da 1€ investito nel 2010

Bitcoin  è una moneta elettronica creata nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, che sviluppò un’idea da lui stesso presentata su Internet a fine 2008. Per convenzione, il termine Bitcoin, con l’iniziale maiuscola, si riferisce alla tecnologia e alla rete, mentre il minuscolo bitcoin si riferisce alla valuta in sé.

A differenza della maggior parte delle valute tradizionali, Bitcoin non fa uso di un ente centrale: esso utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei bitcoin.

La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer sotto forma di ‘portafoglio’ digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili a una banca. In ogni caso, i bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso chiunque disponga di un ‘indirizzo bitcoin’. La struttura peer-to-peer della rete Bitcoin e la mancanza di un ente centrale rende impossibile a qualunque autorità, governativa o meno, il blocco dei trasferimenti, il sequestro di bitcoin senza il possesso delle relative chiavi o la svalutazione dovuta all’immissione di nuova moneta.

Bitcoin è una delle prime implementazioni di un concetto definito come criptovaluta, descritto per la prima volta nel 1998 da Wei Dai su una mailing list.

I Bitcoin stanno facendo tremare le banche mondiali e c’è chi dice che presto diventeranno più preziosi dell’oro. I Bitcoin,  criptovaluta più ricercata e scambiata,  oggi vale circa 65 miliardi dollari.

La creatura è cresciuta e nessuno riesce più a controllarla tanto che le principali agenzie di servizi segreti del mondo, dall’Fbi americano al Mossad israeliano,  sono convinti che parte del boom sia da attribuire all’utilizzo di questa moneta virtuali per il riciclaggio e l’acquisto di armi e droga, proprio in virtù della difficoltà di rintracciare le fonti delle transazioni.

Fatto sta che in sette anni, tra il 2010 e il 2017, il valore del bitcoin è aumentato di oltre 70.000 volte, passando da 6 centesimi a oltre 4.100 dollari arrivando a capitalizzare 69 milioni di dollari. In pratica chi, durante la grande crisi, avesse deciso di investire cento dollari in bitcoin, oggi ne avrebbe in tasca oltre 7 milioni.

  Il bitcoin non è una moneta di corso legale, non ha una banca centrale o un’autorità di controllo. Viene, infatti, catalogata come commodity, una merce scambiata tra soggetti privati con il meccanismo del peer-to-peer.

La piena legittimazione come asset di riferimento, secondo Bank of America, si giocherà su tre fattori: sicurezza, liquidità e volatilità. L’opacità e la mancanza di controlli sono insieme forza e debolezza, basta guardare le pesanti oscillazioni di prezzo.

I bitcoin stanno diventando anche più preziosi dell’oro, e non hanno neppure bisogno di essere nascosti in cassaforte. La libertà di cui gode chi li usa o li compra è uno dei motivi per cui gli investitori hanno iniziato a considerare questa valuta come una sorta di porto franco, in un mondo geopolitico problematico.  Inoltre, sono già da due-tre anni che le bande di hacker specializzate nelle estorsioni internazionali con virus informatici pretendono dalle loro vittime il pagamento di riscatti in bitcoin.

 A Wall Street hanno inventato una formula chiamata ‘Scenario application’: attraverso il monitoraggio degli attacchi informatici prevedono gli aumenti della domanda e, quindi, del prezzo dei bitcoin.

Almeno per ora, è impossibile bloccare o regolare i bitcoin su scala internazionale: arginarlo significa mettere d’accordo tutti i governi del mondo. Al contempo, molti governi esitano ad agire da soli: dietro i bitcoin non ci sono solo i criminali, ma anche tanti giovani che hanno aperto start up focalizzate sulle applicazioni dell’economia digitale. Con regole penalizzanti per l’innovazione si rischia di metterli in fuga.

I margini di crescita sono legati, innanzitutto, al fattore tecnologico: la disponibilità di software e hardware sempre più potenti sia per il ‘mining’, cioè l’attività di produzione basata su algoritmi, sia per il trading. Le piattaforme digitali di scambio devono, infatti, processare transazioni globali a crescita esponenziale e, proprio il sovraccarico, è stato all’origine degli ultimi due crolli di Borsa.La recente adozione di un software più potente ha in parte placato i timori del mercato. Ma c’è anche il tetto dei 21mila pezzi in circolazione oltre i quali non si può andare: ad ora, ce ne sono in circolazione circa 16,5 milioni.

C’è poi l’aspetto regolatorio: mentre in Giappone i bitcoin hanno conquistato il riconoscimento giuridico di valuta di scambio parallela allo yen, le grandi potenze economiche come Usa, Europa e Cina tentano di imporre restrizioni e controlli anche per arginare la fuga di capitali.

 Putin, invece, per contrastare il fenomeno, ha appoggiato apertamente la diffusione di Ethereum, la criptovaluta nata a Wall Street che, a differenza dei bitcoin, è tracciabile.

Una nuova minaccia alla regina delle criptovalute potrebbe arrivare da un fratellino minore, bitcoin cash, versione ribelle lanciata da un gruppo di sviluppatori della valuta digitale il primo agosto scorso che, grazie a una maggiore dimensione dei blocchi, consente pagamenti più veloci.

Una corsa che non pare destinata ad arrestarsi: secondo molti analisti il vero boom si vedrà nei prossimi tre anni. Altri temono che la grande speculazione del secolo, nata all’indomani del crollo di Lehman, finisca per mietere molte vittime.

 Senza contare che anonimato e non tracciabilità hanno consentito a evasori e riciclatori di denaro di bypassare la rete di sicurezza dei governi. E così la Bce ha messo in campo una task force incaricata di tenere sotto il controllo il fenomeno nell’Eurozona mentre, nel nostro Paese, Consob e Bankitalia monitorano l’evoluzione del mercato.

Recentemente l’antitrust italiana ha multato per 2,6 milioni OneCoin, una delle società promotrici di bitcoin, per aver falsamente prospettato ingenti guadagni,  mentre il Wall Street Journal definisce il boom della criptovaluta la miccia di una nuova crisi finanziaria pronta ad esplodere. Ombre che per ora non offuscano l’astro dei bitcoin, la moneta del web esplosa in parallelo alla globalizzazione della finanza che aspira a compiere la rivoluzione suprema: diventare l’unica valuta a livello mondiale per il commercio elettronico.

La  Cina che, dopo aver imposto un ban sulle Initial Coin Offering, potrebbe presto bloccare tutti gli exchange locali di Bitcoin. Il piano assesterebbe un nuovo duro colpo al mercato delle criptovalute.

Le prime indiscrezioni in merito al nuovo ban sono iniziate a circolare già con l’arrivo del fine settimana e hanno determinato una flessione della quotazione valutaria. A far tremare il prezzo del Bitcoin sono state fonti vicine agli ambienti dei regolatori che hanno tuttavia chiesto di rimanere anonime.

La Cina è non solo la patria del 23% degli scambi in Bitcoin, ma è anche la casa di alcuni dei più grandi miners del mondo che confermano le transazioni in criptovaluta. Un ban sugli exchange potrebbe avere profonde ripercussioni sul prezzo del Bitcoin e sul mercato in generale.

Le notizie hanno portato il prezzo del Bitcoin a reagire con un discreto nervosismo che tuttavia non si è tradotto in un vero e proprio crollo della quotazione. La valuta virtuale è crollata in pochi minuti da $4.600 a $4.240, mentre attualmente viaggia su quota $4.100.

 

 

 

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