Continua il tiro a bersaglio del M5S contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E questa volta si chiede l’impeachment per costringere alle dimissioni il capo dello Stato e far crollare definitivamente le larghe intese tra Pd e Pdl. Lo chiede Paolo Becchi, giurista di riferimento del MoVimento, attraverso un lungo post pubblicato sul blog di Beppe Grillo. Attraverso questa richiesta, è evidente, che si vuole eliminare il principale sponsor di un governo di coalizione, che ultimamente ha duramente criticato il M5S sull’indulto e amnistia, ed arrivare a realizzare il sogno di un governo monocolore guidato dal Movimento5Stelle. Becchi inizia il suo lungo j’accuse ricordando il ruolo dell’attuale dell’attuale inquilino del Colle nell’affaire Cossiga del 1991 quando si parlò di messa in stato di accusa per il Picconatore.
E ritornando a King George, Becchi scrive che “Napolitano si è servito dei poteri previsti dalla Costituzione non per difendere la legalità costituzionale, ma a fini politici: difendere a tutti i costi le ‘larghe intese’ tra PDL e PD-L, assicurare la stabilità parlamentare al Governo Letta, impedire lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni. La sua stessa rielezione, del tutto atipica, è stata una consegna del potere di determinare l’ indirizzo politico del Paese nelle sue mani”. Praticamente, per il giurista di riferimento del MoVimento, l’attuale esecutivo “è il Governo diretto dal Presidente, ossia il Governo a capo del quale c’è, seppur per interposta persona, Napolitano”. E, dopo una lunga filippica, ecco che l’accusa più pesante con la richiesta di far dimettere Giorgio Napolitano.
“Che Napolitano abbia violato o meno una norma giuridica, certo è che egli ha esercitato le sue prerogative al di là dei limiti previsti dalla Costituzione, ha snaturato il senso politico e morale della figura del Capo dello Stato”. “L’impeachment – scrive Becchi – è, allora, il momento in cui il Parlamento valuta la condotta del Re: sulla base della Costituzione lo accusa, lo giudica e lo condanna politicamente. Per questo la messa in stato d’accusa ha un valore indipendentemente dal giudizio che, su di essa, darà poi la Corte Costituzionale. Essa rappresenta, infatti, il momento in cui il Parlamento, in quanto unico organo che è espressione diretta del popolo, si fa lui stesso garante della Costituzione, in cui è chiamato a leggere ed applicare la Costituzione contro il Re che l’ha usurpata. Questa è dunque l’occasione, per il Parlamento, di prendere finalmente coscienza di quanto accaduto nel corso di questi ultimi mesi. E di accusare il Capo dello Stato, di fronte al popolo, di aver violato la Costituzione in nome della quale egli ha sempre dichiarato di agire”.