Oggettivi criteri meritocratici per gli incarichi, un meccanismo elettivo del Csm che sfugga alle logiche correntizie e il blocco delle “porte girevoli” tra magistratura e politica. Sono i tre pilastri della bozza di riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario che ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha portato al vertice di maggioranza. «Una riforma che non può più attendere», ha affermato il Guardasigilli illustrando i contenuti del progetto durante il question time a Montecitorio, ma che «non è punitiva» nei riguardi delle toghe, ha assicurato. «È importante sottolineare che non si tratta di un impianto normativo nato sull’onda emotiva del momento buio che stiamo vivendo e che non si tratta affatto di norme punitive contro la magistratura. Al contrario – ha spiegato il ministro – nella consapevolezza dell’altissimo livello professionale dei magistrati italiani e dello spirito di servizio con il quale affrontano in prima linea una fondamentale e delicatissima funzione, occorre tutelare proprio la stragrande maggioranza di loro, che non merita di essere trascinata, come sta avvenendo, nelle squallide paludi delle polemiche».
Il progetto base di riforma prevede «stringenti norme che, sostanzialmente, impediscono al magistrato di tornare in ruolo dopo aver ricoperto cariche politiche elettive o di governo, anche a livello territoriale. Allo stesso tempo, si disciplina anche il ritorno in ruolo del magistrato candidato e non eletto, ponendo vincoli e limiti di natura territoriale e funzionale», ha detto Bonafede alla Camera. E per i magistrati collocati fuori ruolo nella bozza di riforma si «prevede che non possano fare domanda per accedere a incarichi direttivi per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione dell’incarico».