Il tema dell’invio di armi all’Ucraina che possano colpire anche i territori russi diventa centrale nel dibattito europeo. Dopo le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che ha esortato i Paesi ad autorizzare Kiev per colpire al di là del confine, si è unito anche l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell. Il diplomatico europeo, a margine del Consiglio Affari Difesa, ne ha parlato: “Secondo la legge della guerra, non c’è contraddizione, nel combattere contro chi mi combatte. Va considerato il rischio di escalation ma va bilanciato il rischio di escalation con la necessità degli ucraini di difendersi. Così è una situazione asimmetrica, con gli attacchi a Kiev che arrivano dal territorio russo”.
“Alcuni Stati membri hanno iniziato a decidere di rimuovere le restrizioni per l’uso delle armi sul territorio russo. E un’altra cosa importante da discutere oggi. Alcuni hanno sollevato la preoccupazione del rischio di un’escalation, sono sicuro che verrà messo sul tavolo. Ma bisogna bilanciare il rischio di escalation e la necessità che gli ucraini si difendano. Perché certamente non si possono colpire i luoghi da da dove provengono gli attacchi. Ci troviamo in una situazione completamente asimmetrica e diventa sempre più cruciale perché gli attacchi a Kiev arrivano dal territorio russo” ha detto Borrell.
Matteo Salvini in piena campagna elettorale non ha perso tempo e si è buttato nella polemica, ormai da tempo convertitosi al pacifismo, nonostante l’idea leghista di rispolverare la leva obbligatoria per i giovani. “Spero in un centrodestra compatto in Europa come lo è in Italia. E se qualcuno preferisce Macron alla Le Pen sbaglia. Leggevo dichiarazioni farneticanti, pochi minuti, fa di Borrell, che teoricamente dovrebbe rappresentare anche me e il popolo italiano. È un altro di quei bombaroli, citazione di De Andrè, che vorrebbe che le armi che noi abbiamo mandato all’Ucraina per difendersi fossero usate per attaccare, bombardare e uccidere in Russia. Non parla a mio nome, non parla a nome del popolo italiano” ha detto il vicepremier e leader della Lega a margine di un evento di Assimpredil Ance a Milano. Salvini ha poi aggiunto: “Chi parla della terza guerra mondiale è pericoloso per sé e per gli altri. Quindi il voto per l’Europa sarà anche una scelta fra pace e guerra. Poi questo Borrell oltretutto sarebbe della famiglia dei socialisti, quindi teoricamente di quelli buoni, di quelli pacifici, di quelli alla Biden”. Per il ministro dei Trasporti, “pensare che delle armi partite dall’Italia per difendere il popolo ucraino aggredito possano andare a uccidere fuori dai confini dell’Ucraina è una follia. È criminogeno come atteggiamento”.
Il nostro Paese fa parte della NATO e secondo il Patto Atlantico, trattato fondatore della NATO nel 1949, esiste il cosiddetto “sistema di difesa collettiva”, sancito nell’art.5, secondo il quale in caso di attacco ad uno Stato membro l’Italia e gli altri Paesi membri sono obbligati ad intervenire in sua difesa. Anche per la sua appartenenza all’Unione Europea, secondo l’art.42 del Trattato istitutivo dell’UE (TUE), per attuare la politica di difesa e sicurezza comune, l’Italia e gli altri Paesi membri mettono a disposizione il proprio supporto, anche militare, con tutti i mezzi in loro possesso previa delibera all’unanimità del Consiglio Europeo. Ma se l’Italia entrasse in guerra chi sarebbe richiamato alle armi? Solo le forze militari o anche i normali cittadini? In caso di chiamata alle armi, l’art.52 della Costituzione stabilisce che rifiutarsi costituisce reato.
La Costituzione italiana all’articolo 11 sancisce che: «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questo però non esclude che in caso di attacco il nostro Paese può fare ricorso alle armi a scopo difensivo, così come in caso di attacco militare ad uno Stato membro della NATO e dell’Unione Europea, organizzazioni internazionali e sovranazionali di cui l’Italia fa parte. L’art.78 della Costituzione italiana infatti dichiara che le Camere possono deliberare lo stato di guerra dando al governo i poteri necessari.
Se dovesse dunque configurarsi un conflitto e l’entrata ufficiale in guerra del nostro Paese i primi ad essere coinvolti sarebbero le forze armate ufficiali: Esercito, Marina Militare, Carabinieri, Guardia di finanza, Aeronautica militare. Ad essere esclusi sono invece le forze di polizia ad ordinamento civile, come i Vigili del Fuoco, la Polizia Locale e la Polizia penitenziaria. In secondo luogo, sarebbero chiamati alle armi gli ex militari che hanno raggiunto il proprio termine di servizio da meno di 5 anni. In Italia da anni si dibatte sulla questione dei “riservisti”, personale militare o addestrato, su base volontaria, che non dovrebbe superare le 10.000 unità e che sarebbe impiegato prevalentemente per supporto logistico e attività di cooperazione.
Se il personale militare volontario non dovesse essere in numero sufficiente si potrebbe allora ricorrere all’arruolamento dei civili: è importante chiarire che solo se il personale in servizio è insufficiente si ricorrerebbe a questa eventualità. A essere chiamati alle armi sarebbero i cittadini maschi dai 18 ai 45 anni dichiarati idonei alle visite mediche sulla base delle liste di leva.
Infatti, al termine delle visite mediche, sono tre i possibili esiti: idonei e quindi che possono essere arruolati, rivedibili, ossia al momento della visita non sono risultati idonei ma possono essere sottoposti a nuove visite mediche e riformati, infine non idonei al servizio militare in modo permanente. Le donne in gravidanza sono escluse dalle liste di leva obbligatoria.
Proprio riguardo l’insufficienza di unità militari a disposizione, a dicembre 2023 è stato approvato un decreto legislativo sulla revisione dello strumento militare che ha aumentato da 150.000 a 160.000 le unità delle forze armate, a partire dal 1° gennaio 2034.
In caso di chiamata alle armi non è possibile sottrarsi alla chiamata, a meno che non ci siano gravi problemi di salute, da verificare tramite le visite mediche specifiche. Infatti, secondo l’art.52 della nostra Costituzione “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.”
In caso quindi di rifiuto si tratterebbe di reato. In Italia la leva obbligatoria è stata sospesa con la legge n.226 del 23 agosto 2004 per tutti i cittadini nati dopo il 1 gennaio 1986 ed entrata in vigore nel 2005. In realtà però la chiamata alla leva è stata sospesa, quindi non eliminata in modo definitivo. Secondo il nostro ordinamento militare infatti il servizio di leva può essere nuovamente messo in atto con decreto del Presidente della Repubblica in caso di mancato raggiungimento del numero di personale arruolato. A tal proposito, il 21 maggio scorso il ministro delle infrastrutture italiano Matteo Salvini ha presentato alla Camera dei deputati una proposta di legge per introdurre di nuovo la leva obbligatoria nel nostro Paese: sei mesi di servizio militare o civile per i giovani tra i 18 e i 26 anni, da svolgere in Italia, nella propria regione di appartenenza. Questa proposta ha riacceso il dibattito sulla leva obbligatoria e sul coinvolgimento volontario dei giovani in attività non solo collegate a scopi militari ma anche di protezione civile.