Leicester's manager Claudio Ranieri, left, shows the Premier League Trophy to fans at Victoria Park during the victory parade to celebrate winning the English Premier league title in Leicester, England, Monday, May 16, 2016. (ANSA/AP Photo/Rui Vieira) [CopyrightNotice: Copyright 2016 The Associated Press. All rights reserved. This material may not be published, broadcast, rewritten or redistribu]

Brexit e pallone, l’Europa del calcio si allontana

Nonostante gli avvertimenti dei club e l’appello della stella planetaria del calcio di Sua maestà, il voto popolare ha spinto la Premier League fuori dall’Europa, un autogol che potrebbe risultare fatale. Il risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito in Europa rischia di avere un profondissimo impatto sul football d’Oltremanica, principalmente a livello economico ma anche di regolamenti. Un cambiamento che potrebbe rivoluzionare la geopolitica del calcio continentale, a favore di altri campionati del Continente. I primi effetti si potranno già vedere nelle prossime settimane, perché con la vertiginosa svalutazione della sterlina (-8% nella sola giornata di oggi) i club inglesi non potranno più imperversare nel mercato estivo, o quanto meno il loro potere d’acquisto verrà fortemente ridimensionato. La scelta di uscire dall’Unione equivale, a livello calcistico, ad un’auto-ridimensionamento autarchico, che potrebbe anche allontanare gli investitori stranieri. Perché in una notte la Premier League, dall’essere il campionato più globalizzato del mondo, visto e venduto nei quattro angoli del pianeta, si è trasformato in un torneo di carattere nazionale, smarrendo anche la sua proverbiale capacità di attrazione. Proprio per scongiurare questa eventualità, alla vigilia del voto, l’amministratore della Premier League, Richard Scudamore, a nome dei 20 club della massima divisione, aveva auspicato una vittoria di chi voleva restare in Europa. Perché uno dei segreti del successo del calcio inglese è sempre stata la sua capacità di trasformarsi in prodotto d’esportazione per eccellenza, superando confini e culture. Una sorta di multiculturalismo applicato al pallone, elogiato da David Beckham nel suo endorsement per la causa pro-UE. Il risultato del referendum è stato così un clamoroso autogol, proprio alla vigilia dell’entrata in vigore del ricchissimo contratto per la cessione dei diritti tv (circa 8 miliardi di euro per i prossimi tre anni). Con 14 proprietari di club stranieri, l’epilogo referendario appare ancor più stridente, senza dimenticare la composizione internazionale delle squadre (ad oggi circa il 65% dei giocatori della Premier è formato da stranieri). Finora in Inghilterra non c’era un limite di calciatori extracomunitari tesserabili dai club, mentre tutti i giocatori europei (in possesso del passaporto UE) potevano avvalersi del diritto alla libera circolazione riconosciuta ai paesi comunitari.Ma in un futuro prossimo quest’ultimi potrebbero essere trattati alla stregua degli extra-comunitari. Tradotto significa che per giocare in Inghilterra (o Scozia, Galles o Irlanda del Nord), dovranno ottenere un permesso di lavoro, rilasciato solo a chi ha disputato il 75% delle partite con le loro Nazionali negli ultimi 2 anni. Nell’immediato tutto resterà come prima, ma tra qualche anno le normative potrebbero cambiare: tutto dipenderà dagli accordi che Londra sottoscriverà con Bruxelles.

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