Vuole rinunciare all’indennità di carica che percepisce come consigliere regionale ma la legge glielo vieta. Anche se si fa richiesta espressa, con tanto di firma, un “onorevole” di un Consiglio regionale deve per forza ricevere i soldi. Nulla da fare, la legge non può essere violata. Inutile tentarci, nessuna deroga è ammessa. La richiesta-provocazione del taglio del vitalizio è stata avanzata da Mario Bruno, del Pd, fresco di nomina alla vicepresidente del Consiglio regionale della Sardegna. La sua intenzione è stata comunicata all’Aula il giorno dopo aver assunto il nuovo incarico. Bruno ha preso carta e penna e nella lettera inviata alla Presidenza del Consiglio ha ufficializzato “l’intenzione di rinunciare all’indennità di carica” cioè a 3.884 euro lordi al mese. Ma pochi giorni dopo ecco la doccia fredda per l’esponente algherese del Pd. “La richiesta non può essere accolta, ostandovi ragioni di natura fiscale e contabile. Nell’ipotesi in cui intenda, di sua iniziativa, accantonare tale indennità, l’importo al netto delle imposte ammonterebbe presumibilmente a circa 2.193 euro”. Il vice presidente del consiglio spiega che “la risposta degli uffici è corretta perché la rinuncia non è contemplata dall’attuale normativa”. Ecco, dunque, la necessità di “approvare immediatamente – spiega Bruno la legge ed il mio gesto simbolico vuole servire solo ad accelerare l’iter”. Da quanto si è appreso, dal prossimo mese l’indennità netta del consigliere del Pd sarà accreditata ad un fondo istituito dalla Diocesi di Alghero-Bosa per aiutare le famiglie che, con figli a carico, vivono il dramma della disoccupazione.