Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (s) e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi, Roma, 10 maggio 2016. ANSA/GIORGIO ONORATI

Calenda e Renzi per il cantiere vasto del Terzo polo

«Subito dopo queste elezioni apriremo un cantiere vasto, per un partito per la repubblica, di azione repubblicana, un fronte repubblicano. Chiamatelo come volete, ma sapete cos’è? È esattamente lo spirito repubblicano di cui Mario Draghi ha parlato e su cui ha improntato la sua azione. Questa casa è aperta agli amici Cottarelli, Bentivogli, Bonino, Gori, Giorgetti, Sala. Ripensateci».  Carlo Calenda ha annunciato ufficialmente la creazione di un partito nuovo atlantico, liberale e riformista da fondare insieme, dopo il 25 settembre, unendo in una unica casa Italia Viva e Azione e tutti gli altri riformisti disposti a superare il bipopulismo.

«Inizia un percorso straordinariamente difficile e straordinariamente affascinante», spiega Matteo Renzi, «insieme a Carlo dobbiamo salvare questo Paese, perché ormai sta diventando il nostro mestiere. Tutti sostengono l’agenda Draghi, ma noi lo abbiamo sempre sostenuto e se vorrà lo sosterremo, mentre in tutti gli altri schieramenti c’è chi lo ha mandato a casa. C’è chi voleva uscire dall’Euro, non si sa per andare dove».

Sfumature diverse, stessa sintonia sui temi più importanti, «Siamo noi l’unico voto utile perché l’Italia torni a crescere», dice Renzi. «Non c’è fattualmente voto utile che non sia sul plurinominale in particolare al Senato ed è lì che fermeremo la destra», ha aggiunto Calenda.

«Noi siamo qui per un obiettivo immediato, sanare due ferite: 30 anni di bipopulismo e la caduta del governo Draghi. Torniamo oggi insieme per una cosa semplice e al contempo così difficile. Dare una casa alle grandi culture politiche che hanno costruito l’Italia e l’Europa: il popolarismo, il repubblicanesimo, il liberalismo progressista. E oggi in Italia sono prive di rappresentanza. Silvio Berlusconi ha perso il diritto a rappresentare la culturale popolare democratica italiana quando ha mandato a casa Mario Draghi. Enrico Letta ha perso il diritto d’intestarsi il liberalismo progressista quando ha deciso che il mondo è diviso in rosso e nero».

‘Il problema della sinistra italiana ancora oggi e dopo tutto quello che è accaduto negli ultimi trent’anni è il Pd. O meglio l’estremismo che vi si annida e che come un fiume carsico riemerge impedendo che si affermi una moderna identità liberal socialista. Ieri Occhetto ultimo segretario del Pci e primo del Pds, commentando in un intervista la scomparsa di Gorbaciov, ha detto che l’ultimo leader sovietico pensava ad una perestrojca, (una ristrutturazione del comunismo sovietico), di stampo socialdemocratico.

I comunisti italiani, a cominciare da Occhetto, hanno sempre combattuto questa prospettiva. Anche dopo lo scioglimento del pci. Ieri ed ancora oggi. Dopo il fallimento dell’alleanza con i grillini, responsabili con Salvini e Berlusconi della caduta di Draghi, con i missili di Putin in Ucraina, le tensioni Usa e Cina, la guerra civile in Libia, l’immigrazione in ripresa, l’emergenza sanitaria non risolta, quella energetica con il gas alle stelle e l’Ue sotto schiaffo dell’orso russo, l’inflazione al 9% e lo spettro di una incombente recessione, sembrava scontato lasciar lavorare Draghi che stava operando bene non solo per l’Italia ma per la Ue.

Una volta caduto Draghi per scellerata responsabilità di Conte Salvini e Berlusconi, sembrava altrettanto scontato che il Pd desse vita ad una alleanza di centro sinistra con le forze riformista di Renzi, Calenda ed altri. Costituendo così una credibile alternativa al centro destra. Non solo, ma una scelta simile avrebbe acuito anche le divisioni interne al centro destra, indebolendolo. Ma naturalmente la sbiadita leadership di Letta non ha saputo reagire al riflesso condizionato del «sinistrismo» ex comunista.

E quindi, imbarcati Fratoianni e Bonelli, e sbarcati per evidente incompatibilità Calenda e Renzi, la possibilità di una alternativa europeista atlantista riformista in continuità con Draghi è venuta meno. Il Pd attuale è contraddittorio e confuso. E nel partito hanno ripreso quota quelli (D’Alema, Bettini, Boccia, Orlando, Emiliano) che vagheggiano una nuova «cosa» giallo rossa con gli ex grillini di Conte.

Oggi le residue possibilità di impedire un governo di destra (che guarda a Trump, ad Orban, a Vox, che non nasconde simpatie putiniane e che con Salvini ripropone vecchie parole d’ordine), consiste solo in un successo del terzo polo, vale a dire il raggiungimento ed il superamento del 10% avanti a Forza Italia a ridosso della Lega e dei 5 stelle. Obiettivo difficile ma non impossibile per il quale vale la pena di battersi’, osserva Giulio Di Donato, ex vicesegretario del Psi.

‘Non siamo solo una lista elettorale: siamo coloro i quali di fronte al populismo chiedono uno spazio, una speranza, una strada per la politica! Dopo i padri fondatori dell’Europa, noi siamo i figli sognatori. Coraggio vuol dire questo: contro la stupidità naturale del populismo, che è esattamente il contrario dell’intelligenza artificiale, siamo quelli chiamati ad avere il coraggio di chi crede nella politica’, la chiusura di Matteo Renzi.

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