Il seno è costituito da un insieme di ghiandole e tessuto adiposo ed è posto tra la pelle e la parete del torace.
In realtà non è una ghiandola sola, ma un insieme di strutture ghiandolari, chiamate lobuli, unite tra loro a formare un lobo. In un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo dai lobuli attraverso piccoli tubi chiamati dotti galattofori (o lattiferi).
Il tumore al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne.
Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.
- Stadio 0: è chiamato anche carcinoma in situ. Può essere di due tipi:
- Carcinoma lobulare in situ: non è un tumore aggressivo ma può rappresentare un fattore di rischio per la formazione successiva di una lesione maligna.
- Carcinoma duttale in situ (DCIS): colpisce le cellule dei dotti e aumenta il rischio di avere un cancro nello stesso seno. È considerato una forma precancerosa più che un vero e proprio tumore. Nella maggior parte dei casi, infatti, non si evolve verso un cancro vero e proprio ma regredisce spontaneamente per azione dei meccanismi di difesa dell’organismo (in primo luogo l’azione del sistema immunitario).
- Stadio I: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi.
- Stadio II: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l’ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.
- Stadio III: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle).
- Stadio IV: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.
Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98%, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30% dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75%.
Nel cancro metastatizzato, cioè quello che ha già colpito altri organi al di fuori del seno (in genere i polmoni, il fegato e le ossa), la sopravvivenza media delle pazienti curate con chemioterapia è di due anni, ma ciò significa che vi sono casi in cui la sopravvivenza è molto più lunga, anche fino a dieci anni.
Gli scienziati hanno concentrato la loro attenzione su un sottogruppo di 826 pazienti con un tumore iniziale di dimensioni inferiori a un centimetro. Queste donne rappresentavano una sfida per i medici incaricati di decidere la terapia più adatta. Perché, osservandole da un punto di vista clinico sarebbe stato legittimo evitare il ricorso alla chemioterapia. Le dimensioni del tumore e lo scarso numero di linfonodi coinvolti facevano infatti non davano preoccupazioni. Le cose cambiavano però passando all’analisi genetica: 196 pazienti, pari al 24 per cento delle donne (una su quattro), mostravano un rischio genetico alto. In questi casi la valutazione genetica, basata sulla ‘firma genetica’ composta da 70 geni alterati, contraddiceva quella clinica. I ricercatori hanno diviso casualmente le pazienti in due gruppi: il primo è stato sottoposto alla chemioterapia adiuvante o precauzionale, mentre il secondo no.
A distanza di cinque anni, la chemioterapia si è rivelata la scelta più sicura.
Un numero più esiguo di donne è andato incontro a recidive, i tassi di sopravvivenza libera da metastasi sono stati più alti, così come quelli di sopravvivenza completamente libera dalla malattia rispetto al gruppo di pazienti non trattate.
E questo risultato è stato sorprendente perché basandosi sui soliti criteri clinici si direbbe che questi tumori non sono aggressivi e che quindi le pazienti non hanno bisogno di chemioterapia. Ma il 24 per cento dei piccoli tumori si mostravano aggressivi dal punto di vista biologico. Il che dimostra che non tutti i tumori di piccole dimensioni sono uguali».
I ricercatori invitano quindi gli oncologi a rivedere i criteri di valutazione della pericolosità di un tumore: le piccole dimensioni non devono far abbassare la guardia.
Naomi Sally Santangelo