‘Sono sicuro che il Capo dello Stato non resterà indifferente: ne va della credibilità dell’intera Magistratura, la situazione è ormai intollerabile e occorrono interventi drastici, rapidi e risolutivi’, così su Facebook Matteo Salvini parlando di nuove intercettazioni relative al caso Palamara che svelerebbero le iniziative di alcuni magistrati contro il leader leghista.
Emergono – scrive Salvini – le trame di Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm e sottosegretario di due governi a guida Pd, per far intervenire il Consiglio Superiore della Magistratura a supporto delle indagini sullo sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti.
L’ex ministro dell’Interno parla della ricostruzione fatta dal quotidiano La Verità secondo cui quattro consiglieri del Csm, tra cui Palamara, invocavano l’intervento del Consiglio superiore della magistratura per difendere ‘l’indipendenza della magistratura che io avrei messo in pericolo’.
Un attimo dopo – continua Salvini – Legnini rispondeva pubblicamente che l’unico obiettivo era assicurare l’indipendenza della magistratura, confezionando il messaggio (immediatamente rilanciato dal sito di Repubblica) di una magistratura al di sopra delle parti e preoccupata perché il ministro Salvini osava difendere l’Italia e pretendeva di bloccare gli sbarchi rifiutando l’accusa di essere un sequestratore.
‘C’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto’: è uno spaccato vergognoso e imbarazzante quello che emerge nelle chat di Luca Palamara con alcuni colleghi magistrati su Whatsapp.
Ma a leggere ora quelle chat segrete fra alcuni magistrati c’è da restare allibiti per la violenza verbale espressa contro Salvini. E per l’ottusa furia ideologica. Che faceva, appunto, dire a Palamara, parlando con l’ex-presidente dell’Anm, Francesco Minisci, esponente di Unicost, la corrente centrista, ed ex-pm del pool antiterrorismo romano: ‘C’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto’.
C’è da chiedersi quale serenità di giudizio potessero avere certi magistrati nel pieno delle loro funzioni se, poi, nel privato, si esprimevano in questa orrenda maniera contro Salvini. E dichiaravano, sprezzanti, le proprie posizioni ideologiche da perseguire con ogni mezzo.
Ruotano tutte attorno alla figura di Luca Palamara – salito agli onori delle cronache quando venne strapazzato pubblicamente in televisione da Cossiga che lo definì ‘faccia da tonno’ le chat su Whatsapp dei magistrati finite ora in pasto all’opinione pubblica.
E se c’è qualcuno che ammette, onestamente, rivolto a Palamara “siamo indifendibili, indifendibili”, molti altri schiumano nelle chat tutto il loro imbarazzante odio. Stillando veleno e ideologia. Come se fosse la cosa più normale del mondo per dei funzionari dello Stato. Che dovrebbero – dovrebbero – essere equilibrati e, distaccati e sereni.
‘Mi dispiace dover dire che non vedo dove Salvini stia sbagliando’, ragiona pacatamente, rivolto a Palamara, il suo ex-collega romano Paolo Auriemma. Divenuto, poi, capo della Procura di Viterbo.
E’ l’estate del 2018. E i due stanno parlando dell’offensiva giudiziaria della Procura di Agrigento scattata contro Salvini dopo che l’allora ministro dell’Interno ha bloccato lo sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti.
Illegittimamente si cerca di entrare in Italia. E il ministro dell’Interno (Salvini, ndr) interviene perché questo non avvenga – riflette Auriemma. – E non capisco cosa c’entri la Procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico, aldilà del lato politico. Tienilo per te ma sbaglio?.
La replica di Palamara è sconcertante e sgradevole: ‘No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo’. Detto da un magistrato, perdipiù uno dei più potenti d’Italia all’epoca ed ex-capo dei sindacalisti in toga, è agghiacciante. E lascia capire che la definizione ‘toghe rosse’ è solo un eufemismo.
Auriemma sembra non volersi arrendere alla pervicacia ideologica del suo interlocutore. E rivolto a Palamara rincara la sua convinzione sulla campagna giudiziaria della Procura di Agrigento contro Salvini: ‘Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso. Perché tutti la pensano come lui. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano venuti’.
Non c’è solo, nelle parole del capo della Procura di Viterbo, un convincimento tecnico ma, anche, una valutazione di opportunità. Perché il rischio è che la magistratura, già in pesante crisi reputazionale e di consenso, si trovi isolata dall’opinione pubblica.
Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori – rileva Auriemma – Siamo indifendibili. Indifendibili.
L’ex-ministro vuole approfondire quel che ha appreso dalla stampa. Soprattutto, vuol capire il significato vero di quel Pignatone che ‘prima gli parava, il c…’ e poi non più. Forse, chiede Gasparri, Palamara ‘alludeva a un atteggiamento protettivo della procura di Roma e di Pignatone nei confronti dell’allora vertice del Pd?’. Oppure ‘ci si riferiva a Renzi’. Interrogativi inquietanti, più che domande legittime, alla luce delle istituzioni coinvolte e anche della circostanza che vuole Palamara ‘sul punto di candidarsi’ con quel partito. Un’ipotesi verso cui Pignatone, ‘esprime attenzione’, almeno a giudicare, precisa Gasparri, ‘da quanto si legge nei virgolettati delle intercettazioni’. Del resto, incalza il parlamentare, ‘ci sarà pure una ragione per cui a Roma il Pd è sfuggito a tante inchieste’.
E qui la ‘ciliegina’ ha il volto di Nicola Zingaretti. C’era un rapporto – chiede Gasparri – tra il leader del Pd, la sinistra romana e la procura di Roma? Era Palamara il punto di contatto? E quale è stato il ruolo di Pignatone in quel contesto?. Interrogativi che risuoneranno presto nell’aula del Senato. Gasparri non farà invece denunce.Mi pare inutile – spiega -, perché è noto il principio che cane non morde cane. In ogni caso, il verminaio va scoperchiato. Non fosse altro perché Palamara, a giudizio del senatore, ‘non è l’unico protagonista e non può essere lasciato da solo a pagarne le conseguenze». Anche Pignatone deve spiegare molte cose. Vogliamo capire tante cose su immobili, affitti e vicende che – conclude Gasparri – dovranno essere riviste con trasparenza.