La Procura di Roma ritiene che gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non siano idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell’omicidio. Questo afferma il procuratore Giuseppe Pignatone che ritiene necessario che le indagini proseguano, e rimane in attesa che la Procura generale del Cairo trasmetta le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori. Sorella e moglie del capo della banda di criminali indicata dalle autorità egiziane come responsabile della tortura a morte di Giulio Regeni hanno sostenuto, in una deposizione, che il giovane ricercatore friulano è stato ucciso perché resisteva alla rapina. Le due donne hanno confermato che l’accusato ha effettivamente commesso questo atto ma non per ucciderlo, bensì per derubarlo. La vittima però ha resistito, cosa che ha spinto l’accusato e i suoi compari ad aggredirlo, circostanza che ha causato il decesso, hanno aggiunto, riferendosi al principale sospettato, Tarek Saad Abdel Fatah, rimasto ucciso assieme ad altri quattro componenti della banda nello scontro a fuoco di ieri. I genitori di Giulio Regeni si dicono feriti ed amareggiati dall’ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane e certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro Governo a questa oltraggiosa messa in scena. Siamo feriti ed amareggiati, scrivono, dall’ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane sulla barbara uccisione di nostro figlio Giulio che, esattamente due mesi fa, veniva rapito al Cairo e poi fatto ritrovare cadavere dopo otto giorni di tortura. Siamo certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro Governo a questa oltraggiosa messa in scena che peraltro è costata la vita a cinque persone, così come sappiamo che le istituzioni, la nostra procura ed i singoli cittadini non ci lasceranno soli a chiedere ed esigere verità. Lo si deve non solo a Giulio ma alla dignità di questo Paese. Sono almeno tre le incongruenze nella ricostruzione del Cairo, secondo inquirenti ed investigatori. Il primo dubbio è legato proprio al ritrovamento dei documenti di Regeni perchè non è credibile, sottolineano fonti qualificate, che una banda di sequestratori e rapinatori abbia conservato per mesi passaporto e telefoni, con il rischio concreto di essere scoperti. Chiunque se ne sarebbe liberato all’istante. Il sospetto, dunque, è che quei documenti siano stati conservati da qualcun altro per poi farli saltare fuori al momento opportuno. Un altro punto che lascia molti dubbi è legato alle sevizie riscontrate sul corpo di Giulio e confermate anche dall’autopsia egiziana consegnata agli inquirenti italiani: ‘Perché una banda che aveva come unico obiettivo quello di rapinare Regeni lo avrebbe torturato per almeno una?’. Così come non è credibile, secondo le nostre autorità, la vicenda del conflitto a fuoco in cui sono morti tutti coloro che in qualche modo avrebbero potuto fornire informazioni utili. Dobbiamo continuare a scavare seguendo le nostre piste per trovare prove certe e fugare i dubbi, dicono le fonti, sottolineando che ad oggi l’Egitto non ha ancora risposto a due richieste ritenute fondamentali: ‘La consegna di tutte le immagini delle telecamere della zona dove abitava Giulio e delle due stazioni della metropolitana che avrebbe dovuto utilizzare la sera della scomparsa, che gli egiziani dicono essere state cancellate o non utili ma che i nostri investigatori vogliono comunque visionare, e la consegna dei tabulati con l’elenco dei telefoni che il 25 gennaio hanno agganciato la cella che copre la zona dove abitava il ricercatore e di quelli contenenti i cellulari che il 3 febbraio hanno impegnato la cella dove è stato ritrovato il cadavere di Giulio’. Fonti di palazzo Chigi fanno sapere di seguire da vicino gli sviluppi della vicenda Regeni. Il governo italiano continua ad essere determinato affinché le indagini in corso facciano piena, totale luce, senza ombre o aloni sulla morte del ricercatore. ‘Non credo assolutamente alla nuova verità delle autorità egiziane sulla morte di Regeni. Io mi fido solo degli inquirenti italiani’, afferma il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, in un tweet, sulle notizie arrivate dal Cairo in merito alle indagini sull’omicidio del giovane ricercatore. La nuova ‘verità’ confezionata dall’Egitto, aggiunge Stucchi, dimostra assoluta mancanza rispetto per Italia e offende ulteriormente la memoria di Regeni.