«Nel carcere di Rossano abbiamo un detenuto modello che si chiama Angelo Marino, condannato per omicidio di camorra ma totalmente innocente, recluso per pura convinzione della corte. Stiamo preparando la revisione del suo processo tramite l’avvocato Baldassare Lauria, ma intanto lui è dentro da 11 anni, nel silenzio e nell’ombra». È la denuncia pubblica di Bo Guerreschi, presidente dell’Ong internazionale “bon’t worry”, nel corso di un convegno sui diritti fondamentali svoltosi sabato 6 aprile nell’auditorium del Centro di giustizia minorile di Catanzaro, promosso dalla stessa organizzazione su iniziativa dell’ex senatrice Silvia Vono, che ne è dirigente nazionale, e cui da remoto ha partecipato il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto. «Ciononostante, Angelo non si abbatte e, anche per via della nostra presenza e del nostro sostegno, sta studiando – ha raccontato Guerreschi – e sta occupandosi di progetti di grande respiro, grazie al suo talento, alla sua forza di volontà e alla fiducia nei propri mezzi intellettuali e morali. Volevo che sapeste questa storia, perché l’unico modo per riflettere sullo stato della giustizia e delle carceri dell’Italia è raccontare i fatti con il coraggio della verità e con l’animo di contribuire anzitutto a cambiare la cultura dominante, che nel nostro Paese tende a oscurare il principio di non colpevolezza e quello della rieducazione del condannato». «Mi rivolgo allora al viceministro della Giustizia, uomo di diritto e di democrazia, perché – ha concluso Guerreschi – porti avanti una causa fondamentale che appartiene a tutti, cioè l’applicazione reale di tre princìpi costituzionali: di innocenza della persona, di rieducazione e di trattamento, in caso di condanna, mai contrario al senso di umanità». Il convegno a Catanzaro dell’organizzazione “bon’t worry” è stato molto seguito e apprezzato. «Con la nostra Silvia Vono e tutti gli altri, continueremo – sottolinea la presidente Guerreschi – a impegnarci senza sosta per tutelare le vittime di violenza e per rieducare i detenuti insieme alle istituzioni pubbliche, anche con programmi universitari nel territorio calabrese».
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