La Cei entra nel dibattito infuocato sull’utero in affitto esprimendo “forte preoccupazione per il crescente individualismo per l’avanzare di visioni che rischiano di distorcere l’idea stessa di famiglia. Come sancito dalla Costituzione, infatti, la famiglia è e resta il pilastro della società, garanzia di prosperità e di futuro. Riconoscere l’istituto familiare nella sua originalità, unicità e complementarietà significa tutelare, in primo luogo, i figli. Che mai possono essere considerati un prodotto.
“Con una certa apprensione”, i presuli hanno rivolto lo sguardo alla dinamica demografica in atto. Leggendo i numeri del rapporto Istat sulla natalità. Che ha confermato “l’inesorabile calo della popolazione con il saldo negativo tra nascite e decessi. La costante diminuzione delle nascite dice di una sfiducia nel futuro. Che fa rinviare la genitorialità. E che determina squilibri generazionali con inevitabili ripercussioni nel tessuto sociale del Paese. Nella scuola, nel lavoro, nel sistema del welfare, nelle pensioni.
Da qui – è l’appello dei vescovi – “la responsabilità dei cristiani e della Chiesa di adoperarsi per il bene comune. Le famiglie italiane desiderano avere figli, come testimoniato, ad esempio, dalle indagini dell’Istituto Toniolo. Per questo è auspicabile che vengano messe in atto tutte quelle politiche attive che favoriscono la natalità e la famiglia. Ricostruendo quella fiducia nel domani che sembra venuta meno negli anni”.
Tutto nell’ottica del Patto educativo globale proposto da Papa Francesco”. Che in più occasioni ha definito l‘utero in affitto “una pratica inumana che va contro la dignità della persona“.