Centrodestra spaccato, cosa succede tra Salvini e Meloni dopo la rielezione di Mattarella

È tempo di riflessioni, dopo la rielezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha accettato un secondo mandato settennale dopo l’accordo di maggioranza. Accordo che non è affatto piaciuto a Fratelli d’Italia, che è all’opposizione.

C’è aria di spaccature nel centrodestra: se da un lato Matteo Salvini ha appoggiato la riconferma al Quirinale del presidente uscente, dall’altro Giorgia Meloni si è detta arrabbiata e delusa dall’esito dell’ultima votazione.

Due posizioni contrastanti, che faticano a coesistere nello stesso spazio politico: la stessa Meloni ha affermato, a commento dell’elezione di Mattarella, che “bisogna rifondare il centrodestra”. La mancata elezione di una figura più vicina agli ambienti di centrodestra, come Casellati o Nordio, ha rappresentato per la presidente di FdI una sconfitta.

In un’intervista rilasciata a Bruno Vespa, a “Porta a porta”, Giorgia Meloni ha confermato la propria delusione, puntando il dito verso il proprio alleato Matteo Salvini: “Ho sentito Salvini l’ultima volta in mattinata, mi ha mandato un messaggio e mi ha chiesto: ‘Sei in ufficio? Salgo’. Ma da allora non l’ho più sentito”.

Al Corriere della Sera, Meloni ha poi chiosato: “Il centrodestra va ricostruito. Non mi dimentico che nella Nazione milioni di elettori lo chiedono. Parto dal mio partito, percepisco la solitudine di tanta gente che non ha compreso, che non voleva finisse così”.

In una lunga lettera pubblicata su Il Giornale, Matteo Salvini ha replicato alle accuse di Meloni e ha lanciato la proposta di un centrodestra riformato sul modello del Partito Repubblicano americano: “La federazione di centrodestra delle forze che appoggiano il governo Draghi sarà uno spazio politico ove troveranno ospitalità le varie anime e le diverse sensibilità di una cultura politica alternativa al progressismo di sinistra, tutte diverse, pur nella comune cornice qui delineata, ma tutte protese verso uno stesso obiettivo politico”.

Nella lettera, Salvini ha giustificato le proprie scelte: “Personalmente ho la coscienza pulita: al di là degli insulti e delle critiche che ho subìto, ho messo la faccia per proporre soluzioni di prestigio che a sinistra hanno bocciato sistematicamente”.

“Io rispetto chi ha detto no al governo di unità nazionale, no a Draghi e l’altro ieri no all’elezione di Mattarella – ha aggiunto Salvini – ma non capisco la scelta di attaccare gli alleati che hanno maturato una decisione diversa”.

“Bisogna reagire e creare daccapo le condizioni del nostro stare insieme”, ha poi sottolineato il leader leghista.

Forza Italia, dal canto suo, si pone in una posizione di neutralità. Antonio Tajani, vicepresidente del partito di Berlusconi, ha affermato: “Il centrodestra non è un monolite, ma noi intendiamo andare avanti a sostenere il governo di responsabilità nazionale. Nel governo non c’è una delegazione di centrodestra, ce n’è una della Lega e una di Forza Italia. Noi chiediamo che il governo lavori con più forza”.

Da sottolineare la posizione dei Cinque Stelle e di Di Maio per i quali vale tutto e il contrario di tutto, e sempre a candizione delle circostanze.

Prima di Fabio Fazio, poi da Barbara D’Urso: in onda, Luigi Di Maio contro Mattarella. Era il 27 maggio del 2018 quando la strana coppia Di Maio-Salvini proponeva Paolo Savona come premier a garanzia dell’Armata giallo-verde, poi sfasciatasi l’anno dopo con Conte alla guida: il Quirinale decise di stoppare quella nomina per il profilo “anti-europeista” di Savona facendo infuriare soprattutto i grillini, che reagirono chiedendo l’impeachment di Mattarella. In prima linea quel Luigi Di Maio che oggi esulta per la riconferma al Colle di Sergio Mattarella, suscitando l’ironia di molti, ma non del Pd. “Grazie presidente Mattarella…”, ha detto, senza pudore, lo stesso Di Maio che tre anni fa lo definiva una minaccia per la democrazia…

“Se andiamo al voto e vinciamo poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al governo. Per questo dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazione’.  Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va al voto, perché bisogna parlamentarizzare questa crisi”, aveva detto all’amico dei politici di sinistra, per poi andare anche dalla concorrenza a ribadire lo stesso concetto, dalla D’Urso.  Dal Quirinale era arrivato un secco “no comment” all’ipotesi dello stato d’accusa, che era stata ventilata su twitter anche dal deputato Carlo Sibilia: “Non esiste mandare nel caos il paese per fini ideologici. Credo sia arrivato il momento per l’impeachment a Mattarella. È una strada obbligata e coerente”.

“Per non dimenticare quando il Movimento 5 Stelle chiedeva l’impeachment di Mattarella. Ma sono gli stessi che hanno appena votato per forzare Mattarella a un nuovo mandato?”, scrive su Fb Giorgia Meloni ricordando quando i 5Stelle, a cominciare da Luigi Di Maio, del quale la leader Fdi posta il relativo video, chiedevano con forza l’impeachment di Mattarella. “Mo-Vi-Mento: il nome del partito era già tutto un programma”, ironizza la leader di Fdi.

Naturalmente quasi tutti ora si intestano la rielezione di Sergio Mattarella, e va benissimo perché ciò che conta è il risultato finale – Draghi ancora a Palazzo Chigi a guidare il paese – non perdere tempo a biasimare chi consapevolmente o no ha provato a far cadere il governo, a interrompere anticipatamente la legislatura e ad accelerare la corsa verso un frontale che sarebbe stato devastante per l’Italia e, come ha scritto l’Economist, anche per l’Europa.

La coppia Mattarella-Draghi, come per mesi ha scritto con pervicacia solitaria un piccolo giornale d’opinione, è la garanzia di continuità dello splendido lavoro compiuto dall’attuale governo almeno fino a quando non ha pensato ad altro. Un lavoro ancora in corso e necessario a completare le riforme che servono per ottenere i finanziamenti europei, oltre che fondamentale per l’esecuzione del piano di ripresa nazionale a pandemia non ancora domata del tutto.

C’è un anno di tempo prima delle prossime elezioni, utilissimo per consolidare la credibilità e l’autorevolezza italiana in attesa delle sfide della prossima stagione politica.

Altrettanto necessario però è prefigurarla, questa prossima stagione politica che va dal 2023 al 2028, evitando di arrivarci senza nessuna strategia come sull’elezione del presidente della Repubblica.

Questa è la situazione e da qui bisogna ripartire, con la protezione che garantiscono Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura.

L’alternativa è quella di mettere i paletti tra i partiti costituzionali e quelli no, tra quelli repubblicani e quelli no, tra quelli europei ed atlantici e quelli no.

A quel punto resterebbe da fare una sola cosa, mentre Draghi intanto governa, per chiudere la parabola virtuosa di una legislatura nata populista e indirizzata sulla grandiosa via d’uscita antipopulista: una legge elettorale di una riga che ripristini il sistema di elezione proporzionale dei deputati e dei senatori identico a quello delle origini della Repubblica. O anche una legge di due articoli, per inserire nel secondo paragrafo una quota minima di sbarramento all’ingresso in Parlamento.

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