Gli italiani pagano 600 euro di tasse in più rispetto alla media dell’Unione Europea. Lo sostiene l’ufficio studi della Cgia, secondo cui, “se l’anno scorso avessimo avuto la stessa pressione fiscale della media Ue, ciascun italiano (neonati e ultracentenari compresi) avrebbe risparmiato 598 euro”. Una differenza emersa mettendo a confronto la pressione fiscale del 2017 nei principali paesi europei e calcolando poi il differenziale di tassazione pro-capite tra gli italiani e i cittadini dei principali paesi Ue. “In attesa – afferma il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo – della riduzione del peso fiscale, grazie all’estensione a tutti i contribuenti dell’applicazione della flat tax, nel 2019 corriamo il rischio che le tasse locali tornino ad aumentare. La manovra, infatti, non ha confermato i blocchi delle imposte territoriali introdotte nel 2015, pertanto è probabile che sindaci e governatori rivedano all’insù le addizionali Irpef e le aliquote dell’Irap, dell’Imu e della Tasi sulle seconde case e i capannoni. Se ciò si verificasse sarebbe una vera e propria iattura per i bilanci delle famiglie e delle imprese”. Tra i paesi europei più rilevanti, spiega la Cgia, “solo in Francia, in Belgio e in Svezia hanno pagato più di noi: rispettivamente 1.765 euro, 1.196 euro e 712 euro. A eccezione dell’Austria, che nel 2017 ha registrato il nostro stesso carico fiscale, tutti gli altri hanno avuto una pressione fiscale inferiore alla nostra”. Si tratta “di un carico che ha assicurato un risparmio di tassazione pro-capite rispetto ai cittadini italiani pari a 541 euro in Germania, a 996 euro in Olanda, a 1.964 euro nel Regno Unito e a 2.164 euro in Spagna”.
“Con tante tasse – sottolinea il segretario della Cgia, Renato Mason – e con una platea di servizi erogati dal pubblico che negli ultimi anni è diminuita sia in qualità sia in quantità, si sono sacrificati i consumi e gli investimenti. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa, creare lavoro e redistribuire ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, in particolar modo, il calo dei consumi delle famiglie ha creato non pochi problemi finanziari, costringendo molte partite Iva a chiudere i battenti”. E in questi ultimi anni “la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del ‘popolo delle partite Iva’ hanno avuto statisticamente i risultati più negativi. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa”. “Oltre all’eccessivo peso delle tasse – spiega la Cgia – è altrettanto evidente che l’efficienza e la qualità della nostra pubblica amministrazione sono un grosso problema. Questa situazione emerge anche dai risultati emersi nell’ultima indagine condotta dalla commissione europea sulla qualità della pubblica amministrazione a livello territoriale. Rispetto ai 192 territori interessati dall’analisi realizzata nel 2017, le principali regioni del Centro-sud compaiono per 8 volte nel rank dei peggiori 20, con la Calabria che si classifica addirittura al 190esimo posto”. Il risultato finale “è un indicatore che varia tra 100, ottenuto dalla regione finlandese Aland (primo posto), e zero che ha consegnato la ‘maglia nera’ alla regione bulgara dello Severozapaden. Sebbene sia relegato al 118esimo posto a livello europeo, il Trentino Alto Adige (indice pari a 41,4) è la realtà territoriale più virtuosa d’Italia. Seguono, a pari merito, altre due regioni del Nord: l’Emilia Romagna e il Veneto (indice pari a 39,4) che si collocano rispettivamente al 127esimo e al 128esimo posto della graduatoria generale. Subito sotto ci sono la Lombardia (38,9) che è al 131esimo posto e il Friuli Venezia Giulia (38,7) che si attesta al 133esimo gradino”.