Chiusura negativa per Piazza Affari. Tonfo di Unicredit

La Borsa di Milano ha chiuso ancora in territorio negativo pagando la debacle del comparto bancario, in particolar modo l’ennesimo tonfo di Unicredit nel primo giorno dell’aumento di capitale. Due gli aspetti importanti emersi dall’incontro tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy a Berlino: patto di bilancio Ue anticipato a gennaio e rilancio della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie sui cui il premier britannico, David Cameron, ha posto un veto assoluto. Nella conferenza stampa congiunta, i due leader europei hanno fatto sapere che le trattative stanno procedendo bene per quanto riguarda l’unione fiscale e che il vertice europeo inizialmente previsto a marzo sul patto di bilancio della Ue sarà anticipato alla fine di gennaio. Una mossa che segnala il desiderio di dare un’accelerata alle misure di contrasto alla crisi e di sostegno all’euro. Le parole di Merkel e Sarkozy non hanno però placato le tensioni sul mercato obbligazionario, dove lo spread Btp-Bund viaggia in area 530 punti base e il rendimento del bond decennale italiano si attesta al 7,15%. In questo quadro a Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha ceduto l’1,67% a 14.401 punti, mentre il Ftse All Share è arretrato dell’1,87% a quota 15.236.
Ennesimo tonfo di Unicredit che ha lasciato sul parterre il 12,8% nel primo giorno dell’aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro. I diritti che consentono di partecipare all’aumento hanno mostrato un vero e proprio crollo, pari al 65,4%, rispetto agli 1,359 euro fissati in apertura. Dall’annuncio dello sconto sul Terp del 43%, nelle ultime tre sedute della scorsa settimana il titolo dell’istituto di piazza Cordusio ha mostrato un tonfo di circa 40 punti percentuali, ovvero 4,5 miliardi di euro di capitalizzazione andati in fumo. Profondo rosso anche per Monte dei Paschi (-14,3%) a cui l’EBA ha chiesto di raccogliere 3,26 miliardi di euro dopo la ricapitalizzazione da 2,1 miliardi portata a termine nel primo semestre 2011. Vendite pesanti anche su Mediobanca che ha archiviato la seduta con un ribasso del 6,87% . Sono scivolate in rosso anche Ubi Banca (-3,01%), Popolare di Milano (-3,25%) e Banco Popolare (-5,36%) e Intesa SanPaolo (-3,17%).

Le parole di Sergio Marchionne non hanno scaldato il titolo Fiat Spa che ha perso il 6,23%. L’Ad del Lingotto, in occasione del Salone dell’Auto di Detroit, ha annunciato che entro il 2014 sarà realizzata la fusione tra Fiat e Chrysler. L’operazione, ha aggiunto il top manager, è subordinata alla risoluzione del problema legato alla quota che Veba possiede nella casa statunitense e che sarà affrontato nel 2013. Marchionne ha inoltre aggiunto che ancora nessuna decisione è stata presa riguardo la sede del gruppo: Detroit o Torino sono entrambe alternative valide, che però andranno valutate nel momento giusto. Atlantia ha ceduto il 2,93% in scia alle indiscrezioni di stampa secondo cui il governo Monti potrebbe intervenire sul settore autostradale attraverso un cambiamento dei meccanismi di revisione delle tariffe. Si parla di una possibile eliminazione o riduzione dell’indicizzazione al 70% dell’inflazione e di un accorciamento della durata delle concessioni.

Buoni spunti dalle controllate di Eni: Saipem ha guadagnato il 2% mentre Snam ha strappato un +0,36%. Il Sole 24 Ore ha rilanciato un vecchio tam tam di Borsa: la creazione da parte del Governo di una società delle reti con la fusione tra Snam e Terna. Un’operazione che permetterebbe di rendere Snam indipendente dalla controllante Eni. Secondo l’Ad di Eni, Paolo Scaroni, la cessione della controllata non servirebbe ad accelerare le liberalizzazioni perché, a detta del top manager, già oggi la società è pienamente indipendente. “Riteniamo che il nodo principale dell’operazione rimarrebbe il passaggio del controllo di Snam alla Cassa Depositi e Prestiti, la quale dovrebbe pagare 3,5 miliardi di euro (ai prezzi di mercato) per il 30% della società”, hanno rimarcato gli analisti di Equita nella nota odierna. Eni ha invece perso lo 0,55% dopo che nel fine settimana l’Iran ha minacciato di disconoscere i crediti vantati dal colosso italiano per le attività svolte nel Paese del valore di 2 miliardi di dollari. “L’Iran ha un contributo marginale e calante sulla produzione di Eni (circa l’1%), mentre il rischio sui crediti vale circa il 2% della market cap del gruppo di San Donato Milanese”, ha però spiegato la sim milanese.

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