«Il fenomeno della rapida espansione delle popolazioni di cinghiale ha assunto in Italia particolare rilevanza tale da consentire al cinghiale di tornare a occupare aree da cui era scomparso negli ultimi secoli. A partire dal dopoguerra sono stati immessi nel nostro Paese esemplari di cinghiale a fine venatorio di taglia maggiore di origine centro-europea e si sono diffusi cinghiali allevati in promiscuità con la forma domestica, con lo scopo di ripopolare il territorio italiano. Ne consegue che il cinghiale oggi diffuso in Italia è il risultato di esemplari di origine alloctona e loro ibridazione con esemplari autoctoni e con maiali bradi e rinselvatichiti lo ha reso anche molto prolifico», dichiara il deputato Paolo Parentela, esponente M5S in commissione Agricoltura a latere delle manifestazioni degli agricoltori indette da Coldiretti in tutta Italia sull’emergenza cinghiali. «La situazione è resa ancor più grave – prosegue -, allo stato attuale, dalla mancanza di dati omogenei e completi sullo stato della popolazione del cinghiale in Italia e da una gestione faunistico-venatoria fuori controllo. Non esiste, infatti, una banca dati unica sui capi abbattuti complessivamente, non esiste alcun blocco reale di nuove immissioni e non vi sono informazioni chiare sull’operato degli ambiti territoriali di caccia in materia. A pagarne le conseguenze non possono essere sempre gli agricoltori o i cittadini che rischiano la propria vita a causa di incidenti stradali sempre più frequenti. Accanto ai piani faunistici-venatori regionali e ai piani di abbattimento già previsti dalle norme, bisogna adottare seriamente sul territorio e nelle aree protette le linee guida diramate da ISPRA da anni per attuare i metodi ecologici previsti dalla Legge 157». «Occorre, inoltre, sostenere le imprese agricole affinché possano investire in prevenzione ed evitare a monte i danni causati dalla fauna selvatica. Oggi – aggiunge Parentela – anche attraverso l’innovazione si possono preservare le produzioni agricole e gli allevamenti. Il sostegno alle imprese per facilitare questi investimenti devono partire dai piani di sviluppo rurali regionali e da apposite misure nazionali come il credito d’imposta come ho più volte proposto. Noi siamo disposti a lavorare per migliorare le leggi in materia ma oggi le stesse già prevedono la possibilità di prelevare ungulati tutto l’anno, anche fuori dal periodo di caccia. Solamente poche Regioni hanno predisposto piani di abbattimento. Infine, possiamo trasformare questo problematica in un’opportunità anche per le stesse imprese agricole valorizzando e certificando la filiera della carne di selvaggine grazie alle linee guida emanate lo scorso marzo e alla nostra proposta di legge, in discussione alla Camera, che reca misure di semplificazione in agricoltura».
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