Usa e Cina hanno aderito formalmente all’accordo sul clima siglato a Parigi su iniziativa dell’Onu per la riduzione dei gas serra: è stato il presidente Barack Obama ad annunciarlo ad Hangzhou, a stretto giro dalla mossa analoga resa pubblica da Pechino. Alla vigilia del G20 di Hangzhou, i due leader hanno simbolicamente consegnato al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon i documenti nei quali i loro Paesi si impegnano ai passi necessari per onorare l’accordo di Parigi che fissa i target sulla riduzione delle emissioni responsabili dell’effetto serra per ogni singolo Paese. Non si tratta di una battaglia che ogni singolo Paese per quanto potente può fare da solo, ha detto Obama. Un giorno potremo vedere tutto ciò nel momento in cui finalmente decideremo di salvare il pianeta. Da parte sua, Xi ha espresso l’auspicio che l’esempio sino-americano possa essere una spinta per gli altri Paesi affinché comincino a prendere azioni significative. L’azione congiunta di Washington e Pechino potrebbe portare all’operatività dell’accordo di Parigi entro la fine dell’anno, molto prima dei tempi inizialmente previsti. Ecco i punti principali dell’accordo di Parigi (Cop 21) raggiunto nel dicembre 2015 da 195 Paesi e che potrà entrare in vigore con la ratifica da almeno 55 Paesi, produttori del 55% delle emissioni globali. Con Usa e Cina, che insieme producono il 38% di emissioni di C02 nel mondo, sale a 23 il numero dei Paesi che hanno ratificato l’accordo. L’articolo 2 dell’accordo fissa l’obiettivo di restare ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, con l’impegno a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi. L’articolo 3 prevede che i Paesi puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile, e proseguano rapide riduzioni dopo quel momento per arrivare a un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda meta’ di questo secolo. In base all’articolo 4, tutti i Paesi dovranno preparare, comunicare e mantenere degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che rappresentino un progresso rispetto agli impegni precedenti e riflettano ambizioni più elevate possibile. I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni, e chiedono a quelli che gia’ hanno un impegno al 2030 di “comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020. La prima verifica dell’applicazione degli impegni e’ fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali. L’articolo 8 dell’accordo e’ dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non e’ possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che “potrebbe essere ampliato o rafforzato”. Il testo “riconosce l’importanza” di interventi per “incrementare la comprensione, l’azione e il supporto”, ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come “base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione”. L’articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di “fornire risorse finanziarie per assistere” quelli in via di sviluppo, “in continuazione dei loro obblighi attuali”. Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione “sollecita fortemente” questi Paesi a stabilire “una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, con l’impegno ad aumentare “in modo significativo i fondi per l’adattaL’articolo 13 stabilisce che, per “creare una fiducia reciproca” e “promuovere l’implementazione” e’ stabilito “un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità”
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