‘Come ti vesti. Cosa si nasconde dietro gli abiti che indossi’, di Andrea Batilla, edito da Mondadori

«Ogni giorno ci svegliamo e diamo per scontate un sacco di cose. Pensiamo cioè che uno stato di fatto esista perché è sempre stato così e che la sua ragione di esistere risieda nella sua stessa esistenza. […] Anche il rapporto che abbiamo con gli abiti è fatto di costruzioni così arcaiche che, quando vediamo un uomo con una gonna o con un rossetto, le reazioni vanno dallo shock totale alla piacevole sorpresa […]. Il nostro cervello tende a costruire strutture solide a cui credere, che gli servono per funzionare più velocemente, e se dovessimo, ogni volta che vediamo o sentiamo qualcosa, metterlo in dubbio, lo costringeremmo a una fatica disumana. […]

Quello che faremo in questo libro è andare a fondo di alcune realtà che tutti diamo per acquisite, a cui crediamo ciecamente e che, per il solo fatto che riguardano l’abbigliamento, notoriamente zona grigia del dibattito culturale ufficiale, vengono di rado messe in dubbio; quando invece succede, scatenano accesi confronti, che partono da visioni del mondo aprioristiche, magari di stampo religioso e storicamente false, o anche solo da semplice ignoranza.

Il punto, per esempio, è che nel dare per scontato che gli uomini portino i pantaloni e non le gonne attribuiamo credibilità a una separazione tra generi che corrisponde esattamente all’impianto sociale borghese in cui l’uomo è superiore alla donna e in cui l’abbigliamento maschile comunica potere e profondità, mentre quello femminile lascia trasparire superficialità e frivolezza. Penso che nessuna delle donne (e spero anche nessun uomo) che leggeranno questo libro sia disposta a sostenere la tesi ottocentesca dell’inferiorità biologica femminile, ma so che molte di loro desidererebbero sposarsi con un vaporoso abito bianco, detesterebbero vedere il proprio futuro marito arrivare all’altare con una lunga gonna in crêpe e troverebbero inconcepibile che la testimone si presentasse in bikini argento sotto una giacca da uomo, proprio come Sabrina Salerno a Sanremo 1991.

Quasi tutte le istanze sociali, politiche e psicologiche passano, e sono passate, attraverso l’abbigliamento sia quando vengono accettate e rappresentate sia quando sono rifiutate e censurate.

Questo libro è stato scritto per abbattere alcuni muri che ognuno di noi ha nella mente e che sono forse più solidi di altri perché mascherati da cose di poco conto, ma anche per far riflettere sul fatto che quei muri li abbiamo eretti noi, siamo noi i responsabili di questa durezza granitica, è nostra la colpa dell’eterna immutabilità delle cose.

Viaggeremo attraverso degli oggetti di uso comune a cui in massa attribuiamo più o meno lo stesso valore e dei quali ignoriamo o conosciamo superficialmente la storia. Ognuno di questi ci porterà a frantumare una credenza talmente radicata in noi da non essere mai messa in dubbio e questo processo, spero, ci aiuterà a capire come la moda possa essere qualcosa di fortemente rivoluzionario e liberatorio se usata nel modo giusto. Capiremo anche, d’altra parte, che queste storie sono complesse e che non possono essere affrontate se non approfondendone ogni aspetto storico, sociale, psicologico, politico ed economico, e dovremo quindi prepararci ad affrontare un certo grado di difficoltà.

Nel capitolo «I vestiti degli uomini» parleremo di come è stata costruita l’idea del maschile nell’Ottocento proprio attraverso l’abbigliamento, di come in quel secolo vengono separati definitivamente i modi di vestire maschile e femminile, e di come questo sia stato fatto a spese della libertà personale delle donne

In «I vestiti delle donne» andremo ancora più indietro nel tempo per scoprire che fino al Cinquecento uomini e donne si vestivano praticamente nello stesso modo, ma arriveremo a capire che un incredibile avvenimento legato a Firenze e al Rinascimento ha messo la parola fine all’eguaglianza dei ruoli e ha diviso per sempre pantaloni da gonne.

Con «Molto lontano, incredibilmente vicino» faremo un fantastico viaggio nello spazio e nel tempo per capire quali sono le radici del buon gusto e del cattivo gusto, per comprendere perché l’Italia è ancora oggi divisa non solo culturalmente ma anche nel modo di vestire e perché l’argento fa minimal chic e l’oro fa trash e volgare.

Nel capitolo «Sesso O Esse» arriveremo piacevolmente alla preistoria, un viaggio che ci permetterà di capire perché sesso ed erotismo nella moda sono stati per molto tempo associati a perversione, pornografia, sottomissione, volgarità e cattivo gusto, e perché adesso tutto sta cambiando.

Infine, in «Senza genere» lanceremo uno sguardo sull’auspicabile riunificazione di due strade che si sono separate molto, molto tempo fa e capiremo se è possibile (e lo è) una coesistenza pacifica e non belligerante di tutti i temi e i mezzi di espressione di cui tratteremo a questo proposito.

Quando parliamo di «autorappresentazione», intendiamo il modo in cui noi ci raccontiamo al mondo. La prima cosa che gli altri percepiscono di noi sono i nostri corpi e i nostri vestiti, attraverso i quali diamo dei messaggi che spesso non sono chiari neanche a noi. Tutti sono in grado di raccontarsi con le parole, ma pochi lo sanno fare attraverso la moda.

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