Commento di Barbara Lalle su ‘Zozos’ in scena al Teatro Belli di Roma fino al 4 marzo
Fino al 4 Marzo è in scena la Teatro Belli di Roma ‘Zozòs’, commedia scritta ormai 20 anni fa da Giuseppe Manfridi. Rappresentata per la prima volta con successo di pubblico e critica al ‘Gate Theatre di Londra’ nel 2000, ha avuto allestimenti successivi in Belgio, in Croazia, in Svizzera, in Canada, in Grecia ed a Cipro. Memorabile l’edizione inglese avvenuta nel 2002 al Barbican con attori della Royal Shakespeare Company. Nonostante questo onorato pregresso, da oltre vent’anni questo titolo non ha avuto nuove produzioni italiane. Ci voleva la regia di Claudio Boccaccini per portare per la prima volta in Italia questo pièce.
Sono una cinquantina circa, in sala, gli spettatori ad assistere alla quinta replica di Zozòs che ha debuttato al Belli il 16. L’età è alta ed osservando i comportamenti, i saluti lanciati fra le file ed i baci tirati, pare molte persone si conoscano fra loro. Seduto fra il pubblico anche l’autore del testo Giuseppe Manfridi che a fine spettacolo ha firmato le copie del libretto dell’opera in vendita nel foyer.
Zozòs è un termine che a noi italiani non riesce a trasmettere lo stesso significato malizioso che ha nel caratteristico slang parigino; potrebbe essere tradotto ‘uccellini’, per comunicare lo stesso concetto.
Spente le luci e aperto il sipario, due figure sole in scena appaiono accompagnate da rif di contrabbasso dal gusto giallistico: un uomo giovane e una donna matura. Sono attaccati fra loro, abbracciati come gamberetti. L’incipit è quello della commedia borghese: una avvenente donna dal nome Bice, impersonata dalla bravissima Siddhartha Prestinari, dopo aver conosciuto in una palestra uno acerbo ragazzo, impersonato da Paolo Roca Rey, per il quale prova una inaspettata attrazione, si ritrova a casa del nuovo amante. Capiremmo poi nel giro di poco essere incastrati fisicamente. Questo è lo scoglio da superare, questo è il problema da risolvere. Andrà tutto liscio? Li accompagniamo nella soluzione del vergognoso disguido sessuale di cui i protagonisti sono loro stessi causa e colpa.
Tutto si svolge in un’unica scena, fotograficamente bella nella sua semplicità: la cameretta del giovane è composta da tre sedie e due mobili arancio. A coprire le nature genitali dei due, un paracadute che fra i panneggi nasconde le carni nude e il legame del quale loro stessi sono ignari. Loro come gli spettatori.
A problemi si aggiungono problemi: Tobia, l’attore Riccardo Bàrbera, padre del giovane, viene in aiuto della coppia al fine di disincastrarli. Ginecologo, presentato dal figlio come luminare, risulta invece essere uomo giocondo e villano, niente affatto professionale.
L’aria muta rapidamente, raggiungendo, attraverso crescenti metamorfosi filologiche, la caricaturale magniloquenza di una tragedia greca per smascherare, nella sua totalità, una sorta di intricato noir trascinante ed irresistibile. La trama si grecizza e i toni volgono verso il dramma, nell’infuocato appartamento. Peccati di gioventù si disvelano.
Il testo, già originariamente esilarante, viene impreziosito da una regia accorta e dalla bravura degli attori che mai esagerano, indugiando più del dovuto sulle battute a doppio senso e sui giochi di parole, di cui le memorabili sono ‘Cesare al Foro!’ e ‘Giocasti?’. Ma per capirle, dovrete andare a vedere Zozòs.
Questa è la preambolo. Quel che segue, una sorta di plot umoristicamente sofocleo, vi farà ridere di certo.
ZOZÒS
di Giuseppe Manfridi
con Siddhartha Prestinari, Riccardo Bàrbera, Paolo Roca Rey
Regia Claudio Boccaccini
Aiuto regia Eleonora Di Fortunato
Assistente alla regia Ilaria Serantoni
Musiche Massimiliano Pace
Tecnico audio e luci Francesco Barbera
Grafica Giorgia Guarnieri
Fotografie di scena Danny’s Shutter