“Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato”. In questo passaggio del suo vero manifesto programmatico, l’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” dello scorso 24 novembre, nel parlare della sua Chiesa “in stato permanente di missione e della “conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno e della “salutare decentralizzazione di tutta la struttura ecclesiale”. Questo è il modo in cui Papa Francesco intende il papato. Una Chiesa da lui chiamata a non essere più chiusa in sé stessa, ad aprirsi verso le periferie, abbandonando pesantezze e clericalismi per farsi “ospedale da campo” verso le ferite del mondo. E questa “conversione”, fin da quella sera del 13 marzo di un anno fa, il Papa venuto “dalla fine del mondo” l’ha mostrata in ogni suo comportamento, in ogni parola, in ogni gesto, con una forza profetica di esempio e di trascinamento che a molti, pur tra le resistenze ancora esistenti in Vaticano, ha fatto gridare ad una vera e propria “rivoluzione”. Papa Francesco mette l’annuncio prima dei precetti, in nome di una Chiesa samaritana, improntata alla misericordia e alla “tenerezza”, che affonda le radici negli anni trascorsi dallo stesso Bergoglio lungo le strade dissestate delle “villas miserias” della sua adorata e tanto rimpianta Buenos Aires. Vero prete di strada, “callejero”, che vede la sua missione nella vicinanza ai più bisognosi ed emarginati. E’ da lì che nasce la sua idea di “Chiesa povera e per i poveri”, la sua preferenza per una Chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le strade”, piuttosto che una Chiesa “preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti”. E’ da lì che nasce l’aver spogliato il pontificato da tutti i simboli di sfarzo e regalità, con un esempio che mette alle strette anche il resto dei cardinali e vescovi di Curia. E’ da lì che nasce il suo voler a tutti i costi stare vicino alla gente, sfidando anche le implicazioni della sicurezza. Da lì prendono le mosse, anche questa una “riforma” del pontificato, le omelie mattutine di Santa Marta, in cui distilla giorno per giorno sferzate etiche e sollecitazioni, a volte vere e proprie frustate, nei confronti di una Chiesa che in tante sue parti aveva perso di vista la sua vera missione. Da lì si sviluppa anche il desiderio di affrontare i problemi della famiglia, con due Sinodi successivi, e in particolare le situazioni difficili, le necessità di chi fallisce, il nodo irrisolto dei divorziati e risposati. L’enorme popolarità catalizzata da Bergoglio fin dai suoi primi giorni da Papa, poi tradotta anche nelle copertine dei giornali di tutto il mondo fino al titolo di “persona dell’anno” 2013 di Time. La grande riforma è avviata. Il consiglio degli otto cardinali è all’opera per riscrivere la “Pastor Bonus”, la costituzione della Curia romana. La ristrutturazione degli organismi economici, che tanti grattacapi e scandali hanno prodotto in passato, è in atto con la creazione, tra l’altro, del super-ministero delle Finanze, che sostanzialmente risponderà allo stesso Pontefice, tanto da avere come numero due il suo segretario personale don Alfred Xuereb. In vista c’è anche il riassetto dello Ior e dell’Apsa, poi anche accorpamenti e semplificazioni nei dicasteri vaticani. Ma Francesco vuole anche sradicare comportamenti e mentalità che negli ultimi decenni avevano portato il governo romano, in particolare nella stagione Vatileaks, ad una delle peggiori crisi della sua storia. La Curia non dovrà essere più una “centrale di potere” autoreferenziale, ma finalmente un’entità al servizio delle Chiese particolari.