La manifattura mondiale è “sotto lo scacco della pandemia”, con un effetto generalizzato che non risparmia alcuna area, in cui l’Italia “resiste”. E’ quanto emerge dal rapporto sugli “Scenari industriali” del Centro studi di Confindustria, dal titolo “Innovazione e resilienza: i percorsi dell’industria italiana nel mondo che cambia”.
Il rallentamento produttivo dell’Italia “non costituisce una anomalia nel confronto internazionale. Rispetto alle altre grandi economie europee l’Italia mostra anzi una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico”, sottolinea il rapporto.
L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana “è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile”, indica il Csc. Ma “le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative, in linea con l’aumento dei contagi a livello globale e con l’introduzione di nuove misure restrittive”.
Nel 2019 l’Italia compare “stabilmente” al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8).