Congresso Pd e Cesare Damiano

‘Costruire il nuovo Pd, che non è il semplice restyling del nome, non può neanche essere soltanto una battaglia per sostituire i gruppi dirigenti, lasciando sostanzialmente inalterata la linea politica’, dichiara Cesare Damiano, del Partito Democratico: ‘Sarebbe un’operazione gattopardesca all’insegna del ‘cambiare tutto per non cambiare niente’. La discontinuità parte dai programmi e dal coraggio di una virata a sinistra che non abbia il timore di mettere in discussione, con una sana dose di autocritica, alcuni ‘totem’ rimasti finora intoccabili: il Jobs Act, la legge Fornero, le privatizzazioni e le liberalizzazioni senza regole che hanno privilegiato una logica di concorrenza al ribasso, sleale e malata. Così come la capacità di abbandonare la mistica del partito ‘leggero’ o di uno Statuto costruito a misura dell’uomo solo al comando. Bisogna cambiare rotta nei contenuti e tenere un congresso che parli al Paese e ai bisogni dei più deboli, dei dimenticati e di coloro che hanno pagato i prezzi maggiori a causa della crisi. Un congresso che faccia un dibattito vero, di stampo tradizionale: anche questo non dobbiamo avere paura di dirlo, perché non è più sufficiente soltanto la conta ai gazebo.

 Concordo  con Franco Monaco quando parla di un ‘cedimento a una suggestione molto lib e poco lab della base ideologico-programmatica del Pd con la retorica dell’innovazione, a scapito della montante domanda di protezione dei ceti più deboli, evidentissima nel discorso di Veltroni al Lingotto. Gli anni del renzismo hanno portato alle estreme conseguenze quella scelta: è da qui che parte la necessità di una rottura con quell’impianto politico-culturale. Obiettivo che non si può perseguire con una riverniciatura o con un rassemblement con i ‘nuovi pentiti’ del renzismo. Per voltare pagina non bisogna avere paura di dire, come noi andiamo ripetendo, inascoltati, da molti anni a questa parte, che siamo convintamente antiliberisti e keynesiani e che pensiamo a un nuovo ruolo regolatore e di innovazione dello Stato, come ci ricorda Mariana Mazzucato e che, per salvare l’Europa, bisogna cambiarla nel profondo. Rimettiamo al centro i problemi delle persone, sul serio. Ripartiamo dall’ascolto di chi, ancora iscritto o fuoriuscito, ha da dirci che cosa si aspetta per il futuro e in che cosa si è sentito tradito da noi’.

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