“Il Presidente della Repubblica deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l’efficace esercizio di tutte”. E’ quanto ha reso noto la Corte Costituzionale riguardo alla sentenza sul conflitto di attribuzione tra Giorgio Napolitano e i pm di Palermo. “L’inutilizzabilità delle intercettazioni del Capo dello Stato – si legge ancora nella nota- può connettersi anche a ragioni di ordine sostanziale, espressive di un’esigenza di tutela ‘rafforzata’ di determinati colloqui in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale”.
“Le procedure che la Procura intendeva seguire per la distruzione delle intercettazioni del Capo dello Stato avrebbero provocato un vulnus alle prerogative presidenziali, perché prevedendo una procedura camerale, avrebbero consentito la rilevazione dei colloqui intercettati”, si legge ancora nella sentenza della Consulta.
Non assumerebbe inoltre importanza la distinzione tra “intercettazioni dirette, indirette e casuali”, come dichiara Lo la Consulta nella sentenza sul conflitto d’attribuzione Procura di Palermo-Quirinale, confutando quanto sostenuto dai pm palermitani.
La Consulta sottolinea inoltre sentenza che “è indispensabile che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il ‘potere di persuasione’, essenzialmente composto di attività informali”. E “le suddette attività informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici, implicano necessariamente considerazioni e giudizi parziali e provvisori da parte del Presidente e dei suoi interlocutori. Le attività di raccordo e di influenza possono e devono essere valutate e giudicate, positivamente o negativamente, in base ai loro risultati, non già in modo frammentario ed episodico, a seguito di estrapolazioni parziali ed indebite”.