Il Movimento 5 Stelle non riesce ad arginare la débacle elettorale che un’elezione amministrativa dietro l’altra lo accompagna oramai negli ultimi cinque anni. Però quello a cui si sta assistendo è un tracollo verticale senza possibilità di recupero. Se non fosse stato per il leggero rimbalzo delle Politiche del settembre 2022, Giuseppe Conte verrebbe messo sotto “processo” dai militanti grillini per il flop totale di consensi. E così, anche le ultime elezioni Comunali confermano il trend negativo del partito fondato da Beppe Grillo. I risultati definitivi che provengono dal primo turno delle elezioni Comunali nelle regioni a statuto ordinario sono parecchio eloquenti da questo punto di vista.
Considerando i 13 capoluoghi di Provincia che sono stati appena chiamati alle urne, la situazione è politicamente tragica per i simpatizzanti pentastellati rispetto alle precedenti tornare amministrative. Al Nord i Cinque Stelle non esistono sostanzialmente più
Al Sud, dove teoricamente dovrebbe andare meglio rispetto a tutte le altre aree geografiche del Paese, tra candidature in solitaria, alleanze con il Partito Democratico e strani accordi con Unione Popolare di De Magistris, il risultato è sempre lo stesso: ovunque in Italia è fallimento completo dei 5 Stelle.
“Saremo intransigenti, faremo opposizione dura”, aveva tuonato Giuseppe Conte all’indomani del voto del 25 settembre scorso: “Dovranno fare i conti con noi, eccoci pronti”.
Doveva essere il punto di riferimento della più feroce contrapposizione in aula a Giorgia Meloni e al suo governo. E però subito dopo, messo a posto nei primi giorni di vita parlamentare l’armamentario offensivo, si era messo al telefono per far sapere di esserci: ai tavoli sulla Rai, sulle nomine pubbliche, per il Csm e per gli alti gradi di esercito, Guardia di Finanza e intelligence, il suo ruolo di kingmaker non doveva mancare mai. Il 13 ottobre, quando Palazzo Madama riscontra qualche frizione nella coalizione di centrodestra, più di qualcuno adombra il sospetto che sia stato il suo M5S ad offrirsi per far pervenire al candidato presidente, Ignazio La Russa, i 13 voti che gli mancavano.
Sia come sia, l’atteggiamento di Conte è stato sempre ostile in aula e molto più smussato dietro le quinte. Le due facciate ne fanno una stessa medaglia, quasi uno stesso gettone di presenza. Qua e là il M5S, che tanto doveva essere intransigente, esce dall’aula. Altre volte, si astiene. Come sulle nomine Rai: quando il Cda l’altro giorno doveva votare su Roberto Sergio come amministratore delegato, ha votato contro il solo Pd. Solo Francesca Bria (in quota dem) gli ha detto di no mentre il rappresentante dei dipendenti Riccardo Laganà e soprattutto l’esponente del M5S Alessandro Di Majo si sono astenuti. Per poi balbettare: “Sì, ma l’astensione vale come un voto negativo…”, però rimane che non hanno votato contro. Dando un segnale chiaro, incontrovertibile.
E non a caso l’asse sulla Rai paga: la Vigilanza Rai è andata non solo ai Cinque Stelle, ma a una fedelissima di Giuseppe Conte come Barbara Floridia. Un accordo – quello di Conte con Giorgia Meloni – che ha visto quest’ultima appoggiare la nomina di Alfonso Bonafede come membro laico del Csm per la magistratura contabile. Anche il rapporto tra Bonafede e Conte è descritto dai ben informati come strettissimo.
Nei mesi scorsi Bonafede era stato dato in pole per la nomina al Csm, ma a frenarlo era stata un’interpretazione stringente data dal regolamento parlamentare al requisito dei 15 anni di esercizio della professione di avvocato. Per arrivare all’elezione dei laici dei Consigli di presidenza serve la maggioranza assoluta dei componenti l’assemblea: sia alla Camera che al Senato le nomine erano bloccate da mesi per mancanza di un accordo. Quello che una testata piuttosto addentro alle vicende di casa grillina, Il Fatto Quotidiano, ha descritto didascalicamente come “Accordo destra-M5S sui laici del Csm” e che ha portato anche alla nomina di Francesco Cardarelli tra i membri laici del Consiglio superiore dei giudici amministrativi. È lui il giurista che per il M5S ha assunto la difesa nei ricorsi a Napoli intentati dall’agguerrito Lorenzo Borré.
Insomma i grillini non ne vogliono sapere di uscire dal Palazzo. “Il potere logora chi non ce l’ha”, insegnava Giulio Andreotti. E per non finire logorato, Conte di notte tratta e di giorno torna sulle barricate: una commedia delle parti dalla trama già vista.