“Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno definito concordemente la nuova struttura di regole del MoVimento 5 Stelle. Il MoVimento si dota così di nuovi ed efficaci strumenti proiettando al 2050 i suoi valori identitari e la sua vocazione innovativa. Determinante è stato il contributo scaturito dal lavoro svolto dal comitato dei sette che Grillo e Conte ringraziano”: questo si legge nel comunicato letto in assemblea dal reggente Crimi.
Conte, con un pelo sullo stomaco lungo chilometri, ingoia le offese che Grillo gli ha dispensato nelle scorse settimane: “Sono pienamente soddisfatto dell’accordo raggiunto con Beppe Grillo, con il quale in questi giorni ho avuto modo di confrontarmi direttamente più volte. Ringrazio anche i 7 componenti del comitato che hanno portato avanti questa mediazione”, scrive su Facebook l’ex premier.
Ma del patto tra Conte e Grillo il più felice è Salvini. Chiaro che i due il disprezzo personale è reciproco, ma Conte complica la vita a sinistra senza pretendere nulla in cambio; spinge verso destra gli equilibri di governo e aiuta Salvini a rifarsi un’immagine da moderato. E forse in futuro, per dispetto a Draghi, gli spianerà la strada verso i “pieni poteri”. Se Conte non esistesse, Matteo dovrebbe inventarlo.
Fino a un mese fa non si parlava altro che di “sorpasso”, quello dei Fratelli d’Italia a danno della Lega. E più l’argomento impazzava sui media, più la Meloni ne approfittava per crescere. Finché Conte non ha deciso di scrollarsi Grillo. i Risultato: i riflettori si sono tutti concentrati lì. Guarda caso su YouTrend, che fa la media dei sondaggi in circolazione, la Lega ha smesso di sprofondare.
Con i suoi attacchi alla riforma Cartabia, il neo-leader ha trasformato Salvini in una sorta di Montesquieu: liberale e quasi moderato, rispettoso dei diritti, garante sincero della civiltà giuridica. Un personaggio affidabile, pronto a sostenere il governo nei passaggi più complicati.
Si vocifera che Conte ha intenzione di ‘prendere le distanze’ dal governo, profittando del “semestre bianco” per riguadagnare libertà d’azione, anche a costo di azzoppare le ambizioni di Draghi, esaminando la possibilità di farlo cadere. Tra meno di un mese, dal 3 agosto, Mattarella non potrà più sciogliere il Parlamento; in caso di crisi senza sbocco, ci ritroveremmo un governo per gli affari correnti infarcito di ambasciatori, generali e prefetti. Salterebbero le riforme, sfumerebbero i miliardi del Recovery Fund, i mercati ci chiederebbero il conto. Però nessuno dovrebbe risponderne agli elettori perché, appunto, non si potrà votare. Non subito. L’ex premier, da nuovo leader del Movimento, valuta i pro e i contro.
Se ciò accadesse sarebbe l’ultimo definitivo regalo alla Lega. Perché la ricreazione finirà a gennaio con l’elezione presidenziale. Senza un governo degno di questo nome, chiunque emerga dal bussolotto è quasi certo che ci manderà alle urne. In aprile, al massimo a maggio: proprio come Salvini desidera e, con l’avvento di Draghi, non osava più sperare. Ma adesso arriva Conte, e chissà che non sia lui a dargli questa possibilità.
“La figura di Mario Draghi si è imposta oltre le più ottimistiche previsioni per autorevolezza e capacità di coordinare l’insieme dei ministri e i vertici della burocrazia. Egli rappresenta, al di là della funzione che vorrà o potrà avere, una garanzia inamovibile per la vita della Repubblica. E’ un quadro in cui c’è lo spazio per una forte iniziativa del Pd e del campo delle forze democratiche di progresso”, scrive Goffredo Bettini in un lungo intervento su Il Foglio.
“Letta ha iniziato il suo lavoro con tenacia e qualche primo risultato. Speriamo nelle agorà. Vedremo. Eppure il dibattito politico, invece di concentrarsi sull’avvenire, è rimasto per settimane appesantito da polemiche. Il dibattito politico, invece di concentrarsi sull’avvenire, è rimasto per settimane appesantito da polemiche circa il passato’.
“Difendo una storia che ha coinvolto l’insieme del gruppo dirigente del mio partito, una squadra di governo ampia dei democratici e non solo il sottoscritto e l’ex segretario Nicola Zingaretti. La caduta del governo Conte e le attuali difficoltà del Movimento 5 stelle sono indicate come la dimostrazione che l’alleanza che per quasi due anni ha governato l’Italia è stata un errore. E’ stata coniata da altri e poi affibbiata a me la locuzione ‘Conte o morte’. Parole mai pronunciate”.