Giuseppe Conte è il premier forte in grado di contrastare Salvini. Dopo aver rassegnato le dimissioni sfruttando l’assist della Lega, che aveva presentato una mozione di sfiducia contro di lui, il premier torna premier di un nuovo governo, un esecutivo Pd-Movimento 5 Stelle. Inconcepibile solo fino a poche settimane fa.
Eppure sin dal suo discorso di congedo al Senato il presidente del Consiglio dimissionario aveva aperto a una nuova coalizione, Aveva messo sul piatto il suo programma politico nella speranza che venisse raccolto da qualcuno. Di Maio era già lì, cercava solo un nuovo compagno di ventura. Forse sperava nella Lega, invece ha trovato Nicola Zingaretti e un Pd incredibilmente compatto. Per Mattarella va bene così, si può partire. Il primo passo di Giuseppe Conte è stato quello di costruire in pratica dal nulla un rapporto con Nicola Zingaretti e la sensazione è che i due si siano trovati, si siano piaciuti. Il premier è un moderatore, uno che nei quattordici mesi alla guida del governo gialloverde ha dimostrato di saper usare la diplomazia riuscendo a tenere il timone a dritta anche quando la campagna elettorale per le Europee ha diviso i suoi vicepremier.
Giuseppe Conte, imparata la lezione dal crollo del suo primo governo, è diventato decisamente più politico e ora cerca una grande coalizione che lavori per gli stessi obiettivi e che non si limiti a collaborare per portare a casa i risultati individuali prefissati. Conte vuole essere il simbolo del nuovo bipolarismo, quello di cui parlava Nicola Zingaretti quando iniziava la sua avventura come Segretario del Pd. Il presidente del Consiglio incaricato è consapevole del fatto che il suo nemico numero uno sarà Matteo Salvini, probabile leader dell’opposizione. Il premier dimissionario e incaricato ha incassato il sostegno dell’Europa e di Donald Trump proprio nel momento cruciale della trattativa tra il Movimento 5 Stelle e il Pd per la formazione di un nuovo governo. Quel governo destinato a confinare Matteo Salvini all’opposizione.
Già nel 1996 in Italia si ebbe il ritorno ad un sistema bipolare, ma più marcato del precedente. Si contrapposero, infatti, due coalizioni: L’Ulivo, poi L’Unione, (centro-sinistra) e Polo per le Libertà, poi Casa delle Libertà, (centro-destra).
L’assetto di alleanze bipolari è terminato nel 2008, con lo sfaldamento delle due coalizioni e la nascita di due soggetti politici unitari a forte vocazione maggioritaria, quali il Partito Democratico e Il Popolo della Libertà, Partito Democratico e, nati dall’unione dei principali partiti, rispettivamente, di centro-sinistra e centro-destra, che hanno scelto alleanze ristrette, e non più aperte in funzione di un sistema bipolare come fino ad allora avvenuto.
Con la nascita dei terzi poli e con l’affermazione del Movimento 5 Stelle nel 2013, il sistema italiano viene a configurarsi come tripolare, data la presenza di tre poli con ambizioni di governo (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e centro-destra).
Il giorno dopo le consultazioni al Quirinale, ossia il giorno in cui rientra ufficialmente in scena Giuseppe Conte nelle vesti premier incaricato, le piazze, reali e virtuali, si fanno una domanda: perché Mattarella ha dato il mandato per la formazione di un governo Pd-Movimento 5 Stelle?
A prima vista sembrerebbe una mossa anti-democratica che calpesta i diritti dei cittadini e degli elettori italiani. Sicuramente quello destinato a nascere non è un governo popolare, nel senso che non sarebbe il governo che il popolo avrebbe scelto per guidare il paese. Gli ultimi risultati elettorali utili, senza prendere in considerazioni i sondaggi, premiano la Lega di Salvini, danno una speranza al Pd e testimoniano il calo del Movimento 5 Stelle. E al governo ci vanno gli ultimi due, che fino a ieri si sono insultati senza troppa eleganza, come in fondo avevano fatto Salvini e Di Maio nella campagna elettorale che poi avrebbe portato alla formazione del governo del cambiamento.
Il primo motivo, necessario ma non sufficiente per evitare il ritorno al voto, è il fatto che la nuova coalizione, con il sostegno del Gruppo Misto, ha la maggioranza in Aula. Quindi ha margini di governo e la possibilità di guidare il paese attraverso le tradizionali vie democratiche. Secondo la Costituzione il Presidente della Repubblica può “sciogliere anticipatamente una o entrambe le Camere, sentiti i loro Presidenti, salvo che negli ultimi sei mesi del proprio mandato, detto ‘semestre bianco’. Il divieto non opera se gli ultimi sei mesi coincidono, anche parzialmente, con gli ultimi sei mesi della legislatura clausola di salvaguardia per ‘scioglimento tecnico’. Compito del Presidente della Repubblica è anche quello di evitare uno scioglimento delle Camere in tempi brevi, ossia a poco tempo dalla loro formazione. C’è quindi una “imposizione di un limite temporale al potere di scioglimento, che non può essere esercitato nell’anno successivo alle elezioni della Camera dei deputati. Anche nel caso in cui il Governo presenti le proprie dimissioni, il Presidente non potrà pertanto sciogliere la Camera, se questa sia stata rinnovata da non più di un anno; si è dunque inteso, in primo luogo, evitare la possibilità di scioglimenti troppo ravvicinati nel tempo, che avrebbero contrastato con le esigenze di stabilità politica perseguite dalla riforma.
Al termine di una faticosa corsa contro il tempo, Pd e Movimento 5 Stelle hanno presentato al Presidente della Repubblica un programma condiviso. Presumibilmente un qualcosa di simile a un elenco puntato che il premier incaricato Giuseppe Conte avrà il compito di sviscerare a approfondire.
Il terzo elemento che ha spinto Mattarella a dare il mandato per la formazione del governo Pd-Movimento 5 Stelle è il fatto che le due forze politiche abbiano presentato un nome da incaricare come presidente del Consiglio, ossia quello di Giuseppe Conte.
Resta comunque in salita la strada per Giuseppe Conte tra ipotesi di rinuncia e, al contrario, di accelerazione dell’incarico. Ieri mattina si è recato al Quirinale a colloquio con il Capo dello Stato Sergio Mattarella. E, dopo l’incontro al Colle, sono emersi in ambienti parlamentari della maggioranza timori che Conte stia anche ipotizzando la possibilità di rinunciare al mandato conferitogli dal Presidente della Repubblica, alla luce delle difficoltà emerse nelle ultime ore dopo la consegna di Luigi Di Maio di 20 punti programmatici del Movimento Cinque stelle.
Successivamente c’è stato il nuovo vertice sul programma tra delegazioni Pd-M5S e lo stesso Conte. Tutto il Pd chiede un chiarimento. “Ci aspettiamo che avvenga da qui a breve, ma non era sul tavolo” dell’incontro di Palazzo Chigi. “Abbiamo lavorato sui punti”: dice il capogruppo Pd al Senato Andrea Marucci ai cronisti dopo la riunione. E il capogruppo Pd alla Camera, Graziando Delrio, sempre al termine dell’incontro ha affermato che sono stati fatti “ulteriori passi avanti. Il presidente – ha aggiunto – si incaricherà di fare una sintesi quasi definitiva”.
Governo, Delrio: “Passi in avanti sul programma”
“Non mi risultano mal di pancia” nel M5S, “è chiaro che stiamo tenendo il punto sul programma, sull’agenda politica”, afferma il capogruppo M5S Francesco D’Uva. “Abbiamo parlato di programmi e del documento che abbiamo già condiviso – ha aggiunto – per vedere se si può andare incontro alle istanze di tutte le forze politiche interessate. Si sta lavorando per andare avanti. I tempi? Il prima possibile”.
Per fare il punto della situazione, Luigi Di Maio ha riunito lo stato maggiore del Movimento per fare il punto sulla situazione della formazione del governo. La riunione tenuta in un appartamento privato del centro di Roma e vi prendono parte i “big” del M5S, inclusi i capigruppo alla Camera e al Senato che hanno incontrato, ieri mattina, la delegazione Pd e il premier incaricato Giuseppe Conte.
Secondo quanto si apprende da fonti M5s, dall’incontro della delegazione M5S con Conte sono stati fatti passi avanti nella direzione giusta. Il M5S ha ottenuto: basta nuovi inceneritori, stop a nuove concessioni sulle trivelle, revisione delle concessioni autostradali, taglio parlamentari nel primo calendario utile alla Camera, lotta all’immigrazione clandestina alla criminalità e all’evasione fiscale.
Intanto il segretario del Pd Nicola Zingaretti prova a guardare oltre. “L’apertura di una nuova possibile fase politica e di Governo già ci ha fatto guadagnare 600 milioni di euro. In prospettiva potrebbero essere fino a 15 miliardi. Euro che tornano alle famiglie e alle imprese italiane. Ecco perché continuiamo a chiedere una stagione nuova e un governo di svolta. Per un Italia che scommette sul lavoro, l’ambiente, la scuola e la ricerca, gli investimenti pubblici e privati” dice in un post su Facebook. Zingaretti accompagna il post con la foto della prima pagina del Sole 24 Ore di oggi che, in apertura, sottolinea che ‘dal calo dei tassi per i Btp dopo l’avvio della soluzione della crisi di governo’ possono arrivare ‘preziosi risparmi per le casse dello Stato’. Si tratta, scrive il giornale che ha elaborato i dati, di risparmi sugli interessi del debito che potrebbero arrivare fino a 15 miliardi. ‘Se le aste di questa settimana, in cui sono stati collocati 9,25 miliardi di euro, fossero state effettuate il 9 agosto, subito dopo l’annuncio della sfiducia al primo governo Conte, i costi per interessi sarebbero stati 600 milioni in più. Se i tassi restassero ai livelli attuali anche nel 2020 – sottolinea il Sole 24 Ore – il ‘bonus’ potrebbe arrivare a ridosso dei 15 miliardi di euro’.
IL POST DI ZINGARETTI
Dal governo del “cambiamento” al governo delle “novità”. Così Conte, incaricato dal presidente Mattarella, ha definito questo “nuovo progetto politico”. Ha elencato un corposo decalogo di principi – insieme, di scopo e di metodo – che, a seguito delle consultazioni con le forze politiche, si impegna a declinare in un programma di governo e nella proposta dei componenti dell’esecutivo.
Un Paese più giusto, più solidale, più inclusivo: insomma, il documento fondativo di un centro-sinistra per così dire ragionevole e rinnovato, seppure per lo più legato alla tesi tardo-novecentesca della solidarietà coniugata con l’efficienza quale essenziale risposta alle pressanti e drammatiche sfide della contemporaneità.
Si guarda soprattutto ai bisogni e alla redistribuzione, sommando tuttavia due visioni di sistema assai distinte, e che non sarà facile far convivere nelle singole decisioni di governo. Dunque, non si fa cenno ai problemi della produzione. E, mentre si sottace il problema dei flussi migratori, ci si propone di rendere il Paese ‘fortemente attraente’ per i giovani che risiedono all’estero, sollevando qualche dubbio su chi siano gli effettivi destinatari di tali iniziative. Circa la Ue, si rinuncia a qualsivoglia contrapposizione e ad un’espressa volontà di riforma del processo di integrazione europea.
La formazione del Conte bis segnerà la nascita della vera novità: assemblare, in un nuovo bipolarismo, la nuova offerta politica cosiddetta ‘anti-sistema’, frazionandola e associandola a forze già esistenti. A differenza del bipolarismo nato negli anni Novanta, però, la territorializzazione della rappresentanza politico-economica sembra molto più netta.
Anche alla luce delle recenti elezioni amministrative, mantenere l’indispensabile coesione nazionale non sarà un semplice slogan, ma una missione ai limiti dell’impossibile.