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COP26 di Glasgow, la conferenza mondiale sul clima

La conferenza sul clima di Glasgow, Cop 26, che partirà domani 1 novembre e che terminerà il 12 novembre 2021, ha il compito di rendere operativi gli accordi di Parigi e tracciare la strada per decarbonizzare l’economia mondiale.   Si parla di «ultima chiamata» per evitare gli scenari peggiori del riscaldamento globale. Ma le conferenze sul clima hanno una lunga storia di successi parziali e aspettative deluse: ripercorrerla può essere molto utile per comprendere la posta in gioco a Glasgow e quel che accadrà nei prossimi anni.

Si parlerà dei negoziati e degli sforzi della comunità internazionale per raggiungere la neutralità climatica e consentire al pianeta di non aumentare la sua febbre. Fino ad ora la temperatura media globale è cresciuta di 1,1°C, con punte decisamente superiori nell’emisfero nord, soprattutto nella zona Artica, nelle zone interne più che in quelle costiere, in montagna più che in pianura. A Glasgow si cercherà di trovare un accordo per fare passi avanti nella soluzione della crisi climatica.

Si chiama COP la Conferenza delle Parti di un trattato internazionale, cioè la conferenza di tutte le parti che lo hanno firmato. Il trattato internazionale sul clima si chiama UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change), siglato nel 1992 durante il Vertice sulla Terra di Rio di Janeiro. Da allora, a cadenza quasi annuale, la Conferenza delle parti del trattato si è riunita in vari stati del mondo per discutere e prendere decisioni su come affrontare la crisi climatica che nel 1992 era già un problema serio da affrontare.

Sono almeno 4 i temi fondamentali che verranno affrontati a Glasgow: 1) Riduzione delle emissioni di gas che provocano l’effetto serra e alterano il clima (principalmente CO2, ma anche metano e altri): la riduzione si ottiene se ciascuno stato si impegna a tagliare o a compensare nei prossimi decenni le proprie emissioni secondo quanto dichiarato negli NDCs (vedi domanda successiva). 2) Finanziamenti per clima: durante la COP 15 di Copenhagen (nel 2009) venne deciso che i paesi sviluppati avrebbero fornito 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a sviluppare azioni sul clima. 3) Adattamento ai cambiamenti climatici, ovvero le azioni da intraprendere per rendere i territori meno vulnerabili alle insidie dei cambiamenti climatici. 4) Carbon trading, ovvero il commercio della CO2. Il meccanismo è stato introdotto con il Protocollo di Kyoto del 1997 e si basa su un’idea solo apparentemente efficace: poiché ci sono zone del mondo dove costa meno tagliare le emissioni di CO2 rispetto ad altre, i paesi più ricchi, invece di tagliare le emissioni a casa propria possono farlo nei paesi in via di sviluppo, possibilmente con trasferimenti di tecnologia e investimenti. Tuttavia, questo meccanismo ha fatto sì che i paesi ricchi continuassero le loro attività business as usual e dunque le emissioni non sono calate. Per questo serve uno sforzo che coinvolga globalmente tutti gli stati, i territori, le aziende, soprattutto i grandi emettitori di CO2 (leggi, le compagnie petrolifere), nessuno escluso, per invertire la rotta.

L’effetto serra è un processo naturale di riscaldamento climatico che interviene nell’equilibrio radiativo e termico della Terra. È dovuto ai gas serra (GHG) contenuti nell’atmosfera, in particolare vapore acqueo, anidride carbonica CO2 e metano CH4.

Questo effetto è stato così chiamato per analogia con la pratica in culture e garden center di costruire serre lasciando passare il calore del sole e trattenendolo intrappolato all’interno per consentire alle piante di beneficiare di un microclima artificiale.

L’effetto serra, è la fonte di un ulteriore apporto di calore alla superficie terrestre. Senza questo fenomeno, la temperatura media sulla Terra scenderebbe a -18 ° C.

I gas serra sono componenti gassosi dell’atmosfera che contribuiscono all’effetto serra.

I principali gas serra sono il vapore acqueo, l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (o protossido di azoto, con la formula N2O) e l’ozono (O3) .

Le iniziative per cercare soluzioni condivise alla crisi ecologica si sono moltiplicate, di pari passo con l’aggravarsi dei problemi ambientali, dalla perdita di biodiversità ai rischi di uno sviluppo giudicato insostenibile, fino agli impatti del riscaldamento globale.

Quest’anno Glasgow, in Scozia, ospiterà la 26esima Conferenza delle Parti, o COP26, con l’obiettivo di riuscire a ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.

Se da un lato la regolarità di questi vertici, a cui partecipano i governi di tutto il mondo, testimonia l’elevata attenzione per i cambiamenti climatici, dall’altro molte aspettative sono andate deluse perché, a conti fatti, finora gli accordi internazionali non sono riusciti a mitigare il riscaldamento del pianeta.

In effetti, la storia delle conferenze sul clima è costellata da un alternarsi di successi e fallimenti. Nel 2005, per esempio, gli sforzi negoziali furono premiati con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, un importante trattato che per la prima volta impegnava tutti i Paesi a economia avanzata a ridurre i gas serra. Purtroppo, però, molti degli impegni assunti all’epoca sono stati in seguito disattesi, lasciando che le emissioni continuassero ad aumentare.

In qualche occasione gli accordi internazionali sull’ambiente hanno portato anche a risultati concreti. Nel 1987, per esempio, il Protocollo di Montereal riuscì nell’intento di mettere al bando i clorofluorocarburi (o CFC), una classe di composti artificiali di largo impiego come refrigeranti dei frigoriferi o come propellenti spray, consentendo di porre un freno all’assottigliamento della fascia stratosferica di ozono che protegge gli organismi viventi dalla radiazione solare ultravioletta.

Il riscaldamento globale, tuttavia, è un problema assai più complesso da risolvere perché i gas serra, a differenza dei CFC, sono composti naturali, e quindi non possono essere eliminati vietandone semplicemente la produzione. Inoltre, l’industria ha potuto trovare alternative ai CFC senza dover rinunciare ai frigoriferi e agli spray; ridurre in modo drastico le emissioni di gas serra impone invece di mettere in discussione l’intero modello economico delle società industriali, fortemente dipendente dai combustibili fossili.

Infine, raggiungere un accordo condiviso è complicato dal fatto che non tutti i Paesi contribuiscono in uguale misura al riscaldamento globale. Se da una parte le responsabilità storiche ricadono sulle nazioni che per prime hanno raggiunto l’industrializzazione (Stati Uniti, Europa, Giappone, Russia), oggi la rapida crescita economica di Paesi emergenti e densamente popolati come Cina e India ha modificato la classifica dei principali emettitori, al punto che dal 2015 il primato spetta alla Cina.

D’altro canto, questo primato è anche conseguenza del fatto che molte produzioni inquinanti sono state delocalizzate in Cina e in altri Paesi asiatici.

Nel dicembre 2015, al termine dei negoziati della Conferenza sul clima di Parigi (COP21) è stato possibile raggiungere un nuovo accordo  che, per la prima volta, impegna tutte le nazioni, e non solo quelle industrializzate, a fissare degli obiettivi di riduzione delle emissioni. L’accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016 con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale «ben al di sotto» di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e possibilmente entro la soglia di sicurezza di 1,5°C.

Secondo il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), tuttavia, gli impegni assunti finora dai Paesi firmatari non sono abbastanza ambiziosi: perfino se fossero rispettati, infatti, la temperatura media globale salirebbe di circa 3°C entro fine secolo, più del doppio rispetto alla soglia di sicurezza. Gli esperti dell’UNEP hanno calcolato che per limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C sarebbe necessario tagliare le emissioni globali di oltre il 7,5% ogni anno, altrimenti supereremo la soglia di sicurezza già entro questo decennio.

La conferenza sul clima di Glasgow, che si terrà fino al 12 novembre 2021, ha il compito di rendere operativi gli accordi di Parigi e tracciare la strada per decarbonizzare l’economia mondiale. Il vertice si sarebbe dovuto tenere l’anno scorso, ma di fronte al dilagare della pandemia è stato necessario posticiparlo, facendone un appuntamento ancora più atteso.

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