Coronavirus, crolla il lavoro: con la crisi trema anche l’Italia

L’economia cinese ha registrato una forte battuta d’arresto da quando il Coronavirus ha colpito il Paese. Non solo l’isolamento di molte zone e il blocco dei viaggi da e per la Cina hanno fatto crollare l’import e l’export ma, come riportano gli ultimi dati riguardanti il Vecchio Continente, l’epidemia sta avendo un grande in impatto anche a livello locale, mettendo a dura prova l’imprenditoria interna.

Coronavirus, chiudono le aziende: lavoratori senza paga

Il Coronavirus si è diffuso per la prima volta nella città di Wuhan, a dicembre. Da allora, oltre 1.000 persone sono morte in Cina, e sono stati segnalati decessi anche nelle Filippine, a Hong Kong e in Giappone, con più di 60.000 contagiati nel resto del mondo, persino negli Stati Uniti e in Europa.

L’epidemia ha avuto degli impatti negativi sull’economia cinese, mettendo così in ginocchio i lavoratori dell’est e del sud est asiatico. Molte aziende, infatti, hanno chiuso dopo le vacanze del Capodanno lunare a gennaio, mentre altre hanno provato a ridefinire la propria organizzazione affidandosi allo smart working, ovvero il lavoro da casa.

Il Governo cinese ha provato a tutelare i lavoratori estendendo di ben 10 giorni le vacanze di Capodanno, proprio per evitare a questi di ammalarsi e – di conseguenza – ridurre il rischio di contagio. Da qui, quindi, la decisione di mantenere molti negozi ed attività chiuse per un periodo più lungo di quello previsto.

Tutto questo, però, si è tradotto in minori entrate per le aziende, molte della quali, sopratutto le più piccole, hanno già iniziato a licenziare. Altre, invece, hanno ridotto il loro personale, come le agenzie viaggio che per febbraio non hanno chiamato a lavoro le guide turistiche a cui si affidano solitamente. Diversi lavoratori, inoltre, sono rimasti bloccati fuori dalle città dove risiedevano, per via della restrizione sui viaggi che sta impedendo loro di tornare a lavoro dopo il Capodanno cinese. Sono gli stessi che hanno paura di perdere il lavoro per questo motivo e/o che non stanno ricevendo lo stipendio da diverse settimane proprio perché impossibilitati a lavorare.

Come se non bastasse, laddove mancano le protezioni governative del congedo per malattia, si verifica un fenomeno chiamato “presenteeismo“, in cui i lavoratori vulnerabili si sentono spinti ad andare al lavoro per fare soldi, anche se malati.

Mentre però le grandi aziende riescono ad attrezzarsi, sperimentando appunto il lavoro da casa o installando nei propri uffici sistemi di prevenzione (come i lettori di temperatura che garantiscono uno screening immediato dei lavoratori prima che questi mettano piede in ufficio), per i piccoli imprenditori o i lavoratori meno qualificati – ovvero quelli con un salario più basso – non andare a lavorare significa, di fatto, rimanere senza paga.

Coronavirus, a pagarne le conseguenze i piccoli imprenditori: i colossi resistono

Oltre a dover fare i conti con la riduzione delle entrate derivanti dal turismo e dal commercio internazionale, gli imprenditori cinesi (piccoli e grandi) adesso devono considerare nuove e importanti spese prima non valutate. Questi, per esempio, stanno continuando a spendere sempre più soldi in disinfettanti, mascherine e prodotti usa e getta, cui prezzi sono saliti alle stelle prima dell’intervento governativo. Tali investimenti stanno avendo un impatto non di poco conto sui loro bilanci, sopratutto se si considera che solo i prezzi delle mascherine sono aumentati dal 50% al 100% online, così come sono aumentati anche quelli dei prodotti per la sanificazione delle mani.

Più l’emergenza sanitaria durerà, quindi, è più sarà grande l’impatto che il Coronavirus avrà sulle attività commerciali. A risentirne di più, però, saranno probabilmente le piccole e medie imprese. Le società più grandi e le multinazionali, come spiegato sopra, stanno infatti fornendo ai propri dipendenti i mezzi idonei per poter lavorare da casa, cercando di limitare i danni, sia sanitari che economici. Nemmeno i profili più qualificati (manager, CEO, dirigenti etc.) hanno visto la loro retribuzione diminuire a causa del virus.

Il Coronavirus, a tre mesi dal primo allarme, sta quindi dividendo il Paese in due. Da una parte, infatti, ci sono i lavoratori con basso reddito (i precari e quelli che vivono facendo lavoretti saltuari) e i piccoli imprenditori sempre più preoccupati perché stanno vedendo le loro entrare diminuire sempre di più; dall’altra, invece, ci sono i professionisti e gli impiegati qualificati che possono continuare a contare su una certa stabilità economica, grazie appunto alla maggiore sicurezza e flessibilità lavorativa garantita dalle grandi aziende.

Coronavirus, i rischi per l’Italia

Che tutto questo possa in qualche modo avere delle ripercussioni sull’economia italiana è quasi inevitabile. La Cina oggi rappresenta una delle maggiori potenze commerciali al mondo, con accordi e affari che si estendono a livello internazionale e che, di conseguenza, riguardano anche l’Italia. Non a caso il nostro Governo, proprio in questi giorni, ha annunciato un piano di intervento straordinario per limitare i danni (economici e non solo) causati dal Coronavirus.

Gli esperti tutti, comunque, concordano sul fatto che un ruolo chiave in tutto questo avrà la durata dell’allerta sanitaria. Più sarà estesa e più cresceranno le paure e le insicurezze, il che si tradurrà in ingenti perdite economiche – finanziarie per i mercati nazionali e internazionali. E se il Pil della Cina crolla il rischio maggiore è che si scateni un effetto domino su tutti i Paesi del mondo che con il Vecchio Continente hanno oggi rapporti di intesa (commerciale, economica e finanziaria).

 

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