Non sorprende la diffusione del coronavirus in Italia e soprattutto nella parte settentrionale del Paese. Gli sforzi preventivi delle autorità italiane non sono riuscite ad impedire il contagio sul nostro territorio nazionale e spera ora di riuscire a confinare geograficamente l’area di contagio.
Il Nord Italia, dove sono sorti i primi due focolai del coronavirus, è un territorio di scambio economico e culturale. Nelle grandi città del Nord vanno e vengono manager provenienti da ogni parte del mondo. Anche dalla Cina, che nel corso degli ultimi anni si è trasformata in una realtà centrale dell’economia mondiale. Inoltre la sensazione è che le autorità sanitarie abbiano in qualche modo sottovalutato la situazione. Non avendo notizia di italiani di ritorno dalla Cina, alcuni medici hanno archiviato alcuni casi di contagio come una semplice influenza.
E questo è uno dei motivi per cui il COVID-19 si è diffuso tanto rapidamente nel Nord Italia. La non conoscenza dei sanitari ha fatto sì che i primi casi di contagio non fossero riconosciuti. Versione dei fatti confermata anche da Angelo Borrelli, commissario straordinario all’emergenza sanitaria. La diffusione, in attesa di rintracciare il paziente zero, è stata capillare perché è avvenuta anche se non soprattutto negli ospedali. “Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015. Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato. Il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione. Non sappiamo quindi ancora chi ha portato nell’area di Codogno il coronavirus. Il primo caso clinicamente impegnativo di Covid-19 è stato trattato senza le precauzioni del caso perché interpretato come altra patologia“, ha dichiarato Massimo Galli ai microfoni de Il Corriere della Sera.
Il numero di minorenni colpiti risulta bassissimo, come ha mostrato uno studio del 29 gennaio su The New England of Medicine, in cui si spiega che “i bambini potrebbero avere meno probabilità di contrarre il virus o, se infetti, potrebbero mostrare sintomi più lievi rispetto agli adulti”. Addirittura uno studio uscito su Jama il 14 febbraio riporta che in Cina dall’8 dicembre al 6 febbraio si conterebbero soltanto 9 casi di bimbi in cui è stata confermata l’infezione da Sars-CoV-2.
Per fare chiarezza i Cdc, i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Usa, alla data del 22 febbraio, hanno illustrato cosa sappiamo a oggi dell’infezione da Sars-Cov-2 nell’infanzia, attraverso un botta e risposta sulla base di domande spesso poste dalla popolazione. I Cdc riferiscono che “dalle informazioni limitate pubblicate e relative alle passate epidemie di Sars e Mers, causate da altri coronavirus, l’infezione fra i bambini è risultata relativamente rara”.
Coronavirus e bambini, i sintomi
Inoltre, i centri Usa riferiscono che dai dati dei bambini colpiti dal Covid-2019 in Cina i sintomi risultano spesso “simili a quelli di un raffreddamento, con febbre, raffreddore e tosse”. Vomito e diarrea sarebbero meno frequenti e sono stati riportati in almeno un bambino con il coronavirus, sempre in Cina. Mentre casi gravi e complicazioni, fra i più piccoli, sono risultati rari. Ma questo apparentemente minore attacco del coronavirus non deve spingere i bambini (e i genitori) ad abbassare l’attenzione, come sottolineano gli esperti. Fra le precauzioni, le regole spesso ripetute dall’Oms, c’è quella di lavarsi spesso le mani per almeno 40 secondi con sapone o soluzioni a base di alcol.
Italia, cosa fare se il bambino ha sintomi
Alla data del 25 febbraio, dopo la diffusione
del coronavirus in alcune zone d’Italia, raccomanda “ai genitori di non portare i bambini nello studio del proprio pediatria di famiglia o al pronto soccorso per comuni sintomi respiratori come tosse, raffreddore e febbre”, come si legge sulla pagina del ministero della Salute, “e di telefonare prima al medico per ricevere consigli e indicazioni”. Insomma, è bene agire a distanza e telefonare, anche per limitare il contatto fra persone sane e eventuali malati.
Le regole per i bambini
Una volta effettuata la chiamata, il genitore dovrà attenersi alle indicazioni fornite dal pediatra. Una volta giunto in ambulatorio – sempre se richiesto dal pediatra – dovrà “collaborare attenendosi ad alcune semplici regole da adottare per evitare il contagio”, spiega Paolo Biasci, presidente della Fimp.
Le regole sono:
- Non accedere all’ambulatorio senza aver prima concordato telefonicamente la visita;
- Entrare in sala d’aspetto solo quando esce il paziente precedente;
- Tenere in braccio il bambino se non è in grado di star seduto;
- Controllare che il bambino tocchi meno possibile le attrezzature dello studio;
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Il segretario della Lega, Matteo Salvini, intervenne sulla problematica coronavirus-bambini sulla lettera dei governatori leghisti inviata al ministero della Salute con la richiesta che i bambini in rientro dalla Cina non tornino in classe per due settimane per precauzione: “Quando c’è di mezzo la salute dei cittadini, possono avere 10 anni o 80 anni sono cautela ovvie”.
L’ex ministro dell’Interno nei giorni scorsi aveva criticato le contromisure adottate dal governo Conte per fronteggiare l’emergenza del coronavirus, aprendo una polemica politica sul tema. In attesa della visita, far usare al piccolo un gioco o libro portato da casa e non permettergli di condividerlo con altri pazienti.
Arianna Manzi