Coronavirus e plasma iperimmune

Se ne parla pochissimo da noi, salvo qualche parentesi importante come quella de Le Iene, ma ancora prima del vaccino e di altri trattamenti, contro il Covid ci sarebbe un “antidoto” che, a guardare le evidenze, in molti casi sarebbe in grado di imprimere davvero una svolta determinante nelle prime fasi della malattia da Covid. E a costo quasi zero.

Plasma iperimmune, cos’è e come funziona

Stiamo parlando del plasma iperimmune. In pratica, una terapia che prevede il prelievo del plasma da persone guarite da Covid-19 e la sua successiva somministrazione a pazienti affetti dalla stessa malattia. Il plasma dei pazienti guariti contiene gli anticorpi sviluppati durante il periodo di contagio del virus. Possono donarlo però solo coloro che hanno un alto livello di anticorpi nel sangue specifici, utili a debellare il Coronavirus.

Il plasma da soggetti convalescenti era stato già utilizzato in passato durante le epidemie di SARS nel 2002 e di Ebola nel 2015, e negli ultimi mesi sono stati pubblicati su diverse riviste scientifiche i risultati di alcuni studi clinici internazionali ed italiani per il suo uso contro il Coronavirus. Sono diverse le sperimentazioni cliniche in corso nel mondo che stanno cercando di verificare se la terapia con il plasma iperimmune sia efficace contro il Covid.

Anche con un vaccino  avremo bisogno di opzioni di trattamento immediate che possano raggiungere rapidamente enormi quantità di persone. La distribuzione dei vaccini richiede tempo e almeno uno o due mesi per sviluppare la protezione degli anticorpi.

In Italia non se ne parla, perché?

Mentre aumentano gli allarmi degli esperti sulla possibilità di dover avere a che fare, nei prossimi anni, con nuove pandemie altrettanto aggressive, ad oggi, ci sono due nuovi studi che evidenziano l’efficacia del plasma iperimmune contro il Covid-19.

Secondo il primo, se il plasma iperimmune viene somministrato in fase precoce, è in grado di diminuire la mortalità. Secondo l’altro, riesce a ridurre la probabilità di morte. Allora perché in Italia non se parla, o se ne parla in maniera molto approssimativa e comunque quasi sempre “contro”?

Se lo chiedono da qualche settimana, tra gli altri, Alessandro Politi e Marco Fubini de Le Iene, che per oltre un mese sono stati dentro i reparti Covid e le terapie intensive dell’ospedale di Padova dove i medici per primi, e in modo molto efficace, hanno sperimentato con successo il plasma iperimmune per contrastare il Coronavirus. “Io non ho notizia di pazienti deceduti trattati con plasma iperimmune”, ha detto il direttore generale Luciano Flor. “I pazienti trattati col plasma vanno bene”.

L’immunologa Antonella Viola, docente di Patologia generale all’Università di Padova, prima ha attaccato Le Iene e l’uso del plasma iperimmune contro il Coronavirus, ma poi ha cambiato idea nel giro di appena 24 ore, dicendo che è importante donarlo.

Quando è efficace il plasma iperimmune contro il Covid

A oggi, non esiste ancora una cura certificata e standardizzata per combattere il Coronavirus. Per aiutare i malati di Covid viene usato un mix di farmaci che la scienza ha reputato essere il migliore possibile dopo le sperimentazioni fatte in questi mesi. Ma l’appello che sempre più medici ed esperti stanno facendo è, a chi ha avuto il Covid, di donare il plasma.

L’evidenza osservata in molti ospedali di tutto il mondo è che, una volta effettuata la trasfusione di plasma iperimmune, i pazienti in condizioni critiche iniziano immediatamente a sentirsi meglio. In molti descrivono questa sensazione come una sorta di “spinta”, di apertura dei polmoni e di ripresa del fiato, mentre fino a poco prima c’era solo “fame d’aria” e grandi difficoltà respiratorie.

Uno studio realizzato invece dall’Hospital Italiano de Buenos Aires e pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine dimostra che non funzionerebbe nei pazienti con forme di Covid-19 grave, né sulla mortalità né sul miglioramento clinico della malattia. Mentre altre ricerche evidenziano come sia estremamente efficace negli stadi iniziali della malattia in persone ricoverate da poco e non già gravi.

Tra le principali difficoltà nel capire se l’utilizzo del plasma iperimmune sia una strategia utile c’è la carenza di studi randomizzati in doppio cieco, ovvero studi dove si confronta l’effetto del plasma con quello del placebo senza che il somministratore e il paziente sappiano la natura del trattamento in corso. Ed è proprio in quest’ottica che è stato sviluppato lo studio dei ricercatori argentini.

Tutti i vantaggi del plasma

Ma va detto che il plasma si è dimostrato sicuro già decenni fa. Con una tecnologia a basso costo, ha una storia lunga e di successo. Nessuno possiede la proprietà intellettuale per il plasma, ovviamente, e quindi il prezzo potrebbe essere molto più basso rispetto ad altre opzioni che alla fine emergeranno, rendendo il plasma un’opzione equa e accessibile.

Il plasma ha vinto il Premio Nobel nel 1901 per la cura della difterite nei bambini, è stato impiegato nell’ultima grande pandemia del 1918, è stato utilizzato per frenare i focolai di morbillo, poliomielite e parotite, e con successo su oltre 70mila pazienti Covid-19 solo negli ospedali statunitensi, per darvi un numero.

Lo studio di Calcutta

Uno studio condotto a Calcutta, in concomitanza con altre città dell’India e di tutto il mondo, suggerisce che il plasma sanguigno ricco di anticorpi di pazienti guariti da Covid-19 può essere utilizzato per combattere il virus e, se somministrato precocemente, tenere le persone fuori dalla terapia intensiva.

Lo studio di Calcutta si è basato su 80 pazienti presso l’ID&BG Hospital gestito dallo stato del Bengala occidentale che si è svolto tra la fine di maggio e la fine di ottobre. Fondamentalmente, ha scoperto che la somministrazione della terapia al plasma ha prodotto “una significativa mitigazione immediata dell’ipossia (quella condizione in cui l’ossigeno scende a livelli pericolosamente bassi), riduzione della degenza ospedaliera e benefici di sopravvivenza” in pazienti Covid-19 gravemente malati con sindrome da malattia respiratoria acuta (ARD) .

Lo studio mostra che il plasma fornisce anticorpi che impediscono al virus di infettare le cellule e che circolano anche altre proteine che gli esperti pensano stiano anche giocando un ruolo nel recupero.

Lo studio della Johns Hopkins School of Public Health

I risultati di Calcutta hanno ricevuto un plauso da Arturo Casadevall, presidente del dipartimento di Immunologia presso la Johns Hopkins School of Public Health degli Stati Uniti, tra i più grandi sostenitori dell’uso della terapia al plasma di convalescenza per curare il Covid.

Casadevall ha condotto studi che indicano che il plasma convalescente è più utile per prevenire l’insorgenza di malattie gravi o per prevenire completamente i sintomi che come cura per Covid quando raggiunge uno stadio avanzato. “L’uso precoce è associato a un miglior risultato“, ha spiegato.

Proprio sull’efficacia immediata nella fase iniziale della malattia Covid si sta concentrando uno studio della Johns Hopkins University, in collaborazione con siti di test in tutti gli Usa e con il supporto di almeno 1.100 volontari. Ovviamente, il plasma non permetterebbe di sradicare il Covid, ma di tenere le persone fuori dall’ospedale, rendere la malattia meno dannosa e far stare meglio i pazienti prima.

Se questo trattamento si dimostrasse efficace, saremmo in grado di appiattire la curva e convivere con il Covid, invece di andare in lockdown continui ogni volta che i tassi di infezione aumentano troppo.

I risultati positivi degli studi già condotti sul plasma potrebbero influenzare radicalmente la rapidità con cui torneremo alla normalità, mentre attendiamo che i vaccini e i farmaci più promettenti, come quello contro l’artrite  ad esempio, siano sicuri ed efficaci. Sicuramente, c’è un gran bisogno di un’opzione terapeutica tra la prevenzione delle infezioni da un vaccino e il ricovero per Covid-19

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