Dopo la pandemia di coronavirus, ancora in corso, ci dovremmo aspettare “una piccola pandemia di tumori“. A scriverlo è il ‘Corriere della Sera’, che sull’impatto dell’emergenza Covid-19 sulla prevenzione e la cura del cancro ha intervistato Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione nuovi farmaci allo Ieo (Istituto europeo di Oncologia) a Milano e professore di Oncologia medica all’Università.
Curigliano sarà l’unico italiano a parlare al grande congresso mondiale di oncologia, l’Asco, dell’American Association of Clinical Oncology di Chicago.
Al ‘Corriere della Sera’ ha dichiarato: “Il coronavirus ha ritardato tutti i programmi di screening, quelle attività che hanno come obiettivo di intercettare i tumori al loro inizio. Probabilmente, nei prossimi mesi, quando riprenderanno, ci troveremo di fronte a un numero più grande di casi avanzati, meno curabili e meno guaribili“.
Ancora Curigliano: “Il fatto di avere un tumore rappresenta un fattore di rischio che rende più grave l’ infezione da coronavirus”.
L’esperto ha aggiunto: “Secondo lo studio Teravolt, pazienti con tumore polmonare e coronavirus hanno avuto un’elevata percentuale di mortalità: uno su tre è deceduto, anche perché il coronavirus ha come bersaglio principale i polmoni. Il fatto di avere tumori, anche di altri tipi, può avere condizionato l’accesso alle terapie, che sono state riservate a chi aveva più possibilità di sopravvivenza. La gestione di tutti gli altri tumori, secondo lo studio CCC2019, è, invece, dipesa da condizioni oggettive: è andata meglio dove il Covid ha colpito meno”.
Per il futuro, Curigliano vede “un potenziamento della medicina territoriale, i family doctors, come li chiamano gli anglosassoni”. Sono “i nostri medici di medicina generale, quelli che dovrebbero intercettare i segnali di malattia, inviare i pazienti allo specialista, ma poi riprenderseli in carico quando devono seguire le terapie”.