Coronavirus, Wwf: “Legame tra cambiamento climatico e malattie trasmissibili”

All’origine di pandemie come quella attuale possono contribuire, direttamente o indirettamente, numerose azioni umane. Tra esse, il cambiamento climatico causato dall’uomo può favorire la diffusione di patogeni e l’insorgere di nuove epidemie, influendo fortemente il funzionamento degli ecosistemi e delle specie che veicolano infezioni e altre malattie trasmissibili. Contrastare il cambiamento climatico, favorendo al contempo la conservazione degli ecosistemi integri e restaurando quelli deteriorati dall’uomo, costituisce un approccio lungimirante per tutelare la salute e il benessere delle comunità umane e per prevenire future pandemie. È quanto emerge dal report elaborato dal WWF dal titolo “Malattie trasmissibili e cambiamento climatico – Come la crisi climatica incide su zoonosi e salute umana”, che attraverso una rilettura di numerosi studi scientifici mette in relazione gli effetti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici sulla salute umana. Numerose ricerche indicano infatti che molte zoonosi (ovvero le malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo, anche tramite vettori quali zecche e zanzare), sono fortemente influenzati dal cambiamento climatico indotto dall’uomo, attraverso tre meccanismi principali: 1) espansione degli areali delle specie serbatoio o vettori, come nel caso di Morbo di Lyme e West Nile Virus; 2) alterazioni nelle temperature e nel regime delle precipitazioni, che favoriscono ad esempio malaria e Chikungunya; 3) rilascio di patogeni in aree precedentemente ghiacciate, come nel caso dell’antrace.

Questi meccanismi, al momento, non pare stiano invece influenzando la diffusione del CoViD19, favorito invece dal traffico non controllato di specie. Nel report gli esperti del WWF si sono soffermati sulle malattie trasmissibili, ma in generale il riscaldamento globale potrebbe rendere alcune aree del pianeta inadatte alla stessa esistenza umana, interferendo per esempio con i sistemi di termoregolazione mediante l’aumento dei giorni di temperatura estrema. È sempre più evidente, quindi, come la nostra salute e il nostro benessere dipendano strettamente dal nostro rapporto con il pianeta che ci ospita, così come evidenziato da innumerevoli fonti scientifiche. Il nostro destino è strettamente connesso a quello degli ecosistemi, del clima e delle loro complicate ma cruciali relazioni ecologiche.

I record negativi sul cambiamento climatico in atto continuano ad accumularsi, e con essi anche gli eventi estremi correlati. L’inverno appena trascorso è stato il più caldo di sempre in Europa dal 1880 (anno a partire dal quale si sono cominciate a registrare in maniera sistematica le temperature) ad oggi e, in media, 3.4°C più caldo del trentennio 1981-2010. Il 2019 è stato il secondo anno più caldo mai registrato, con un aumento medio della temperatura globale di circa 1,1°C rispetto all’era preindustriale. Dagli anni ‘80, ogni decennio successivo è stato più caldo di tutti i precedenti, a partire dal 1880. Il ghiaccio artico è in calo a un tasso del 12,85% per decennio, in riferimento al periodo 1981-2010. Anche le calotte di ghiaccio, che ricoprono le terre emerse in Groenlandia e Antartide, hanno subito un massiccio declino, a una media annua di 283 Gigatonnellate in Groenlandia e 145 Gigatonnellate in Antartide (una gigatonnellata equivale ad un miliardo di tonnellate). Tra i tanti eventi significativi dal punto di vista climatico nel 2019, ricordiamo l’ondata di calore peggiore mai registrata in Australia – temperatura record di 49,9°C registrata a Nullarbor, Australia Meridionale, il 19 dicembre – accompagnata e seguita da incendi di enormi proporzioni in alcune, vaste aree del Paese, con distruzione diretta e indiretta di specie, habitat, insediamenti e vite umane; anche l’Europa ha registrato numerose ondate di calore, con temperature record in Francia (46°C) e in molti Paesi del Nord Europa; il Giappone è stato flagellato da due ondate di calore. In molti Paesi si sono registrate siccità eccezionali, da Singapore al Laos. Tutto questo mentre l’umanità è flagellata da una pandemia che sta causando migliaia di morti e mettendo in crisi interi Paesi. Mentre per il CoViD-19 non sono state identificate correlazioni con i cambiamenti climatici, per molte altre malattie ci sono evidenze scientifiche che possano essere influenzate negativamente dalla crisi climatica globale in atto.

Il 75% delle malattie infettive umane fino ad oggi conosciute deriva da animali e il 60% delle malattie emergenti è stata trasmessa da animali selvatici. In termini tecnici queste malattie vengono definite zoonosi e ogni anno causano circa 1 miliardo di casi e milioni di morti (Morse et al., 2012. Prediction and prevention of the next pandemic zoonosis. Lancet, 380, 1956-1965). Le zoonosi conosciute sono molto numerose – oltre 200 secondo l’OMS – e il loro studio costituisce uno dei settori di maggior interesse della medicina umana e veterinaria. Sono zoonosi la rabbia, la leptospirosi, l’antrace, la SARS (inclusa la nuova pandemia provocata dal virus SARS-CoV-2), la MERS, la febbre gialla, la Dengue, l’HIV, l’Ebola, la Chikungunya e il CoViD-19, il morbo di Lyme, ma anche la più diffusa influenza, solo per citarne alcune.Tra tutte le malattie emergenti, le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare in futuro la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Gli effetti diretti o indiretti del cambiamento climatico possono influenzare il rischio di diffusione e trasmissione di queste patologie, ipotizzandone i possibili risvolti per la salute umana. Il riscaldamento climatico incide significativamente sulle caratteristiche fisiche dell’ambiente in cui le specie si trovano a vivere, sia in termini di variazioni di temperatura sia di disponibilità idrica e di altri fattori, influenzando il metabolismo, la riproduzione, la possibilità di sopravvivenza e, quindi, la distribuzione nel tempo e nello spazio.

Il cambiamento climatico, inoltre, può avere un impatto significativo anche su quelle specie che ospitano patogeni (specie serbatoio) o che li trasportano (specie vettori), e pertanto può influenzare la loro possibilità di infettare altre specie, incluso l’uomo. Il clima nelle regioni settentrionali sta cambiando più velocemente della media globale, facilitando la diffusione di malattie infettive sensibili al clima (Climate-Sensitive Infections) rilevanti per gli animali selvatici e per l’uomo. Sono state identificate 37 potenziali malattie infettive clima-sensibili per le regioni del Nord.Malattie veicolate da zecche. Modifiche dell’areale geografico e altitudinale di alcune specie vettori causate dal riscaldamento climatico sono state documentate in Europa per le zecche della specie Ixodes ricinus, vettore di patologie quali il morbo di Lyme e l’encefalite mediata da zecche (TBE); tali modifiche sono state associate con nuovi focolai e una maggiore incidenza di TBE. In maniera simile, spostamenti verso nord sono stati osservati anche in Nord America per la zecca Ixodes scapularis, specie vettore di morbo di Lyme e babesiosi.

Malattie veicolate da zanzare. Condizioni climatiche più calde rendono in genere più rapido il ciclo vitale delle zanzare, diminuendone la longevità ma facendone aumentare significativamente l’abbondanza primaverile in Europa meridionale e quella complessiva in Europa settentrionale: oltre ad estenderne la stagione di attività e quindi la probabilità di trasmissione all’uomo. Ma al contempo, anche le popolazioni sorgente di uccelli più adattate a climi miti ora hanno esteso i loro areali estivi verso nord, favorendo l’espansione di virus in zone che prima non ne erano affette. L’areale della zanzara tigre (Aedes albopictus) appare in espansione in America, Europa e Cina a causa del cambiamento climatico, e con esso le patologie di cui è vettore, quali Dengue e Chikungunya. Anche l’espansione della zanzara Aedes aegypti, che può diffondere Dengue, Chikungunya, Zika, febbre gialla e altri agenti patogeni, favorita dai cambiamenti climatici e dall’agricoltura industriale, continua ad invadere gli habitat naturali degradati.

L’Italia ha attraversato il decennio più caldo della sua storia. Questo non solo ha comportato la crescente fusione dei nostri ghiacciai e minacce alla sopravvivenza di specie vegetali e animali, ma la crisi climatica in corso è certamente un rischio per la salute pubblica. In particolare, il cambiamento climatico sta causando nel nostro Paese un aumento degli eventi meteorologici estremi come ondate di calore, piogge intense e allagamenti costieri, un’espansione di nuove specie di vettori di malattia, un peggioramento della qualità dell’aria e del rischio incendi aggravato dalla siccità. Sempre in conseguenza del cambiamento climatico, nel nostro Paese si assiste anche alla ricomparsa o recrudescenza di agenti infettivi precedentemente endemici (tra i quali il poliovirus, presente in paesi limitrofi, e il bacillo della tubercolosi) e all’arrivo di nuove malattie esotiche trasmissibili, come Dengue, Chikungunya, Zika, Febbre del Congo-Crimea, West Nile Disease. Negli ultimi anni in diverse regioni italiane si sono verificati focolai di Chikungunya e la presenza dei vettori di questi virus è ormai stabilmente segnalata in molte regioni del Mediterraneo. Un dato significativo è che la capacità di acquisire virus e trasmetterli ad un ospite suscettibile, per esempio i virus responsabili della febbre Dengue da parte della zanzara Aedes albopictus, è aumentata del 50% in quasi 40 anni. Questo vuol dire che l’idoneità climatica per il virus sta aumentando in Italia dove trova un ambiente sempre più adatto per trasmettere la malattia. In alcune regioni dell’Italia settentrionale sono stati registrati casi di encefalite virale da zecche (TBE, Tick-Borne Encephalitis) mai riscontrati prima in Italia. In varie regioni italiane si sono verificati numerosi casi di meningiti o encefaliti virali. In centro Italia, si è diffuso il poco conosciuto virus Toscana (TOSV), che prende il nome della regione in cui è stato isolato all’inizio degli anni ’70, e viene trasmesso da 2 specie di pappataci (Phlebotomus perniciosus e P. perfiliewi) ed è stato associato a casi di meningite e di meningoencefalite nell’uomo. Ma gli effetti avversi del cambiamento climatico in atto possono incidere anche sulla qualità dell’aria (per esempio favorendo la stagnazione della circolazione atmosferica che impedisce agli inquinanti di disperdersi verso l’alto o determinano la formazione di inquinanti secondari, come l’ozono e le polveri fini), aggravando i livelli di inquinamento già troppo elevati, in particolare nei contesti urbani. L’Italia ha ancora il triste primato in Europa di morti premature (45.600 nel 2016) da esposizione alle polveri sottili PM2.5 con una perdita economica di oltre 20 milioni di euro, che pone l’Italia all’11° posto al mondo. Infine, a fronte di un aumento di 1°C, anche patologie psicologiche di media entità, come depressione, stati di ansia, insonnia, paure, malesseri psichici generalizzati, salgono mediamente del 2%.

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