Corsa al Quirinale e timore di urne anticipate

Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune ossia con tutti i componenti di Camera e Senato presenti. Gli elettori sono  630 deputati, 315 senatori e 6 senatori a vita. A questi si aggiungono i delegati delle Regioni. Tre per ogni Regione, eccezion fatta per la Valle d’Aosta che ne invia a Roma solo uno. Tutte queste persone sono comunemente chiamate ‘grandi elettori’.

La prima seduta per eleggere il Presidente si tiene circa un mese prima della scadenza del mandato del Capo dello Stato uscente.

Come per tutte le elezioni sono previsti degli scrutini con voto segreto. Nei primi tre è necessaria la maggioranza di due terzi dei grandi elettori, mentre a partire dalla quarta votazione è sufficiente la maggioranza assoluta.

A gennaio il presidente della Camera convocherà il Parlamento in seduta comune e i grandi elettori dovranno scegliere un nuovo Presidente.

L’attuale, Sergio Mattarella, ha già fatto sapere che non intende prestarsi al bis. Nonostante alcuni cittadini lo abbiano invitato a restare, durante la sua visita a Pescara, il Capo dello Stato ha già spiegato, citando il predecessore Antonio Segni, che non ritiene praticabile la ‘immediata rieleggibilità del Presidente’. E il suo orientamento appare assolutamente fermo.

Molti sono  dell’idea di una elezione di Mario Draghi, che diverrebbe così garante per il Paese per sette anni. Ne ha parlato il ministro allo Sviluppo Giancarlo Giorgetti e  ne ha parlato anche il ministro leghista Massimo Garavaglia: ‘Che Mario Draghi finisca al Quirinale mi sembra una soluzione logica. Il quando è tutto da vedere. Non dipende certo dal sottoscritto’.

‘Draghi sarebbe un grandissimo presidente della Repubblica, è un grandissimo presidente del Consiglio e sarebbe un grandissimo presidente delle istituzioni europee, come il Consiglio europeo e la Commissione europea. Può far tutto, al momento opportuno in Parlamento si vedrà, ora è presto per parlarne’, ha detto il leader di Iv, Matteo Renzi.

L’ipotesi non dispiacerebbe a Giorgia Meloni, che secondo alcuni suoi fedelissimi potrebbe non ostacolare l’elezione dell’attuale premier nella speranza che sia foriera di elezioni anticipate. Matteo Salvini è chiaro: ‘Non tiro per la giacchetta né Draghi né Mattarella. Mi sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti e degli italiani. A febbraio ne riparleremo’.

Dal Pd ufficialmente restano valide le parole di Enrico Letta che nei giorni scorsi ha chiesto ai suoi di non anticipare dichiarazioni su un tema a cui si porrà la mente solo più avanti, anche se molti ritengono che se si concretizzasse una disponibilità del premier sarebbe difficile per il Pd non votarlo.

La consegna del silenzio non viene accolta dal governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini: ‘Non condivido un passaggio dell’intervista di Giorgetti, cioè, che Draghi debba andare immediatamente al Quirinale. Questo governo deve durare fino a fine legislatura perché in questo momento serve stabilità all’Italia’.

Quanto al M5s, Giuseppe Conte taglia corto: ‘Io non partecipo al gioco della destabilizzazione, le tirate di giacca fanno male: per il Colle ci sono tante variabili da considerare e ne parleremo in prossimità della scadenza’.

Tutti però sono consapevoli che un peso non indifferente lo avrà la valutazione del diretto interessato, di cui però risuonano ancora le parole dette a fine estate: ‘Trovo un po’ offensivo questo fatto di pensare al Quirinale come un’altra possibilità. Ma anche un po’ offensivo nei confronti del Presidente della Repubblica’, ha risposto il premier a chi gli chiedeva se ritenesse il Quirinale una possibilità per il suo futuro. E allora bisogna ‘interrogare’ chi si è schierato apertamente sulla candidatura di Draghi a palazzo Chigi nel momento in cui il governo Conte andò in difficoltà. ‘Che Draghi possa andare al Quirinale a fare il De Gaulle è una cosa falsa. A che titolo – si chiede un sottosegretario – parteciperebbe ad un G20? Per ora la Costituzione non è stata cambiata…’. La tesi è che ‘Draghi solo da palazzo Chigi può realmente fare gli interessi del Paese’.

Dopo Giorgetti anche Brunetta è esplicito: ‘Per uscire dalla crisi economica e dalla pandemia e per essere leader in Europa, io credo che la persona che ha piu’ titolo per garantire questo per i prossimi 7 anni e cioe’ per tutta la durata, e anche qualcosa di più, del Pnrr, sia proprio il presidente del Consiglio, Mario Draghi’. Un altro ‘endorsment’, dopo quello del ministro dello Sviluppo che, in realtà, nell’intervista alla Stampa ha rimarcato come senza Draghi nella sede del governo i fondi del Pnrr verrebbero ‘dispersi’.

C’è chi nella Lega sostiene che il numero due del partito di via Bellerio abbia voluto lanciare il sasso proprio per ‘blindarlo’ al governo.

Sia alla Camera che al Senato, soprattutto dopo il taglio dei parlamentari – osserva un politico di lungo corso della maggioranza – non c’è nessuno che abbia voglia di andare a votare. Dunque vale l’assunto di un ‘big’ del Pd secondo il quale ‘al Quirinale bisognerebbe spendere la carta migliore’ ma il timore di elezioni anticipate potrebbe ‘frenare’ deputati e senatori che non vogliono certo anticipare il termine della legislatura. Ecco perché un ‘big’ della Lega sottolinea come lo scenario del voto anticipato sia difficilmente realizzabile.

Berlusconi, da parte sua, per ora pensa solo al Colle, e malgrado l’età confida di voler tornare alla politica a tempo pieno,  con Matteo Salvini  che mira alla federazione del centrodestra per entrare ‘dalla porta principale’ a Palazzo Chigi. L’unico momento in cui  potranno realmente  allinearsi, Berlusconi e Salvini, sarà la quarta votazione per la presidenza della Repubblica.

La campagna acquisti di Salvini in Forza Italia ha irritato Berlusconi: ‘Non capisco la ritorsione’. La ‘ritorsione’ è riferita all’ennesima falsa partenza della federazione, per la quale era stata programmata una riunione ai primi di settembre, alla presenza dei vertici dei due partiti e dei loro ministri. All’ultimo momento si è proposto di spostare l’evento dopo le Amministrative, con la scusa di evitare che sul progetto gravasse il risultato del voto su cui non si fa grande affidamento. Sarebbe stato un errore battezzare la federazione con una sconfitta.

Berlusconi ha assecondato le ragioni del rinvio, anche per non irritare la Meloni, dei cui voti ha bisogno se davvero vuole partecipare alla Corsa per il Colle.  Salvini,  viste le defezioni subite al gruppo parlamentare europeo, ha aperto le porte della Lega a quanti già bussavano per entrarci. I nuovi arrivi in Lombardia sono un segnale al Cavaliere: più che spostare voti, infatti, spostano gli equilibri nella selezione dei grandi elettori regionali per la presidenza della Repubblica.

Il leader forzista ha provato in extremis a trattenere i partenti, senza riuscirci ma non ha inteso enfatizzare l’episodio, perché — per dirla con uno dei massimi esponenti del partito — ‘è impegnato a contare i voti’ per il Quirinale: non gli interessa di che colore siano i grandi elettori, gli interessa superare il quorum.

Siccome i margini politici per riuscire nell’impresa sono persino più risicati dei consensi su cui Berlusconi può contare, è impossibile sapere quale sarebbe la sua reazione alla delusione. Non è in discussione la permanenza nel campo che ha fondato, ma il riposizionamento di Forza Italia può mettere in difficoltà l’area sovranista, ‘un progetto che — a sentire alcuni esponenti azzurri — uscirebbe fortemente compromesso se il risultato delle Amministrative dovesse somigliare ai sondaggi’. È un avvertimento alla Meloni, che sul Quirinale ha manifestato la volontà di puntare su una figura terza. Ma diverrebbe un problema anche per Salvini se il punto di riferimento del Ppe in Italia volgesse il suo interesse verso il blocco leghista dei governatori.

Toti, che vede la federazione di centrodestra su un ‘binario morto’ e auspica persino un ‘bis’ di Draghi a Palazzo Chigi. Sono manovre di posizionamento prima ancora che di sganciamento dalla coalizione. Berlusconi per ora pensa solo al Colle e,  malgrado l’età confida, come detto,  di voler tornare alla politica a tempo pieno.

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