epa05388203 A news ticker in Times Square shows a headline about the 'Brexit' referendum passed in the United Kingdom to leave the European Union in New York, New York, USA, 24 June 2016. Markets were in turmoil over the outcome of 23 June's referendum in Britain on a so-called Brexit with approx 52 percent of the votes in favour to leave the EU. EPA/JUSTIN LANE

Cosa cambia per risparmiatori e imprese dopo la Brexit

Il dado è tratto, ora resta da definire la via d’uscita di Londra da Bruxelles. Difficile dire quanto la ‘fuga all’inglese’ cambi la vita dei risparmiatori, mentre sul fronte delle imprese da Prometeia indicano che per la prima volta da 40 anni ci potrebbero essere dazi sul mercato britannico. Questi ultimi potrebbero valere più del 5% del valore esportato,  22,5 miliardi di euro nel 2015 secondo l’Istat e, immaginando che se ne facciano interamente carico le aziende italiane, la Brexit potrebbe costare 1,12 miliardi di euro, una cifra pari allo 0,25% dell’export italiano nel mondo. Per chi ha sottoscritto quote di fondi di comuni di investimento c’è una conseguenza immediata ed è legata all’andamento dei mercati finanziari. In questo caso il consiglio unanime dei gestori è di mantenere i propri risparmi o incrementare le quote per mediare le perdite. Chi sottoscrive Piani di Accumulo può sospenderli ed aspettare tempi migliori per riprendere a comprare, mentre chi vuole vendere può optare per lo ‘switch’ (conversione), passando per esempio da fondi azionari a fondi obbligazionari senza dover vendere. Uno dei settori più allarmati dalla Brexit è quello della viticoltura. Secondo Coldiretti la Gran Bretagna è diventato il primo mercato mondiale di sbocco per lo spumante italiano, con un incremento del 38% di bottiglie vendute nel primo trimestre di quest’anno. Per il vino in generale, sottolineano a Federvini,  invece è il terzo mercato. A a soffrire però è l’intero comparto agricolo. L’Inghilterra, con i suoi 3,2 miliardi di euro di controvalore, è il quarto mercato di sbocco estero dei prodotti italiani, a fronte di un flusso contrario di appena 701,9 milioni.L’industria alimentare è tra le più esposte, secondo le stime di Prometeia, e arriverebbe a perdere 450 milioni di euro, pari al 14% del totale esportato (2,9 miliardi). Altro settore in sofferenza sono l’abbigliamento e le calzature, che potrebbero veder andare in fumo oltre 200 milioni di euro di esportazioni, pari a quasi il 9% del totale venduto Oltremanica. Coinvolti anche i mezzi di trasporto (3,3 miliardi di euro) ed i macchinari (3,1 miliardi). Dalla Gran Bretagna invece l’Italia acquista mezzi di trasporto per 2,2 miliardi, farmaci per 1,1 miliardi, macchinari (1,04 miliardi), prodotti chimici (1 miliardo) ed elettronica (0,9 miliardi). La sterlina debole potrebbe invertire in termini di competitività il rapporto che c’era tra Italia e Inghilterra ai tempi della lira. Soprattutto per il settore della meccanica, dei prodotti da forno, della farmaceutica, dell’arredamento da ufficio e della oreficeria/gioielleria, insieme agli articoli sportivi, alla rubinetteria e al valvolame.Il tasso di cambio potrebbe penalizzare chi ha investito nel settore immobiliare negli ultimi 30 anni.

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