Così Giorgetti ha salvato Bossi dalla “soffitta”

E se la Lega volesse mettere in soffitta letteralmente parlando Umberto Bossi? La domanda viene spontanea se, passati oltre tre mesi da inizio legislatura, il Senatùr non ha ancora un ufficio tutto suo alla Camera. Lui lo vuole al gruppo del Carroccio, al terzo piano del Palazzo dei gruppi. Mentre all’amministrazione e al collegio dei questori è arrivata richiesta per una stanza all’ultimo piano di Palazzo Montecitorio, dove ci sono tre stanze dedicate ai deputati diversamente abili. La soffitta, appunto.

La vicenda si trascina da mesi. E, chissà, magari è frutto di un semplice difetto di comunicazione, di quelle incomprensioni che si verificano nelle migliori famiglie. Quella della Lega, peraltro, non è nuova a sviste del genere. Il precedente risale all’aprile 2015, quando durante la terza votazione di fiducia sulla legge elettorale (l’Italicum), Bossi entrò nell’aula della Camera e votò contro nonostante le opposizioni si fossero messe d’accordo per astenersi. «Io non ero stato avvisato, non sapevo niente», spiegherà qualche minuto dopo il fondatore del Carroccio. Quello che ebbe l’eleganza di non dire, ma che nei giorni seguenti divenne di pubblico dominio, è che non aveva ricevuto alcuna comunicazione perché l’allora capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga, si era dimenticato di inserirlo nel gruppo whatsapp dei deputati della Lega. Quello per capirci dove passano tutte le comunicazioni su orari delle sedute e votazioni (comprese le indicazioni del partito sui singoli provvedimenti). Dimenticanza reiterata per mesi.

Passati quasi otto anni, un altro malinteso. Questa volta logistico, visto che ad oggi ancora non è chiaro quale sia l’ufficio del Senatùr. O meglio, un ufficio c’è ed è al terzo piano del Palazzo dei gruppi, come chiedeva Bossi. Ma solo per gentile concessione di Giancarlo Giorgetti.

Ma andiamo con ordine.

Dopo l’ultima legislatura passata al Senato, eletto alla Camera lo scorso 25 settembre, il fondatore della Lega chiede un ufficio a cui hanno diritto tutti i deputati al suo gruppo. Richiesta che per qualche ragione magari semplice disorganizzazione non trova risposte per settimane, tanto che dal Senato dove devono liberare gli spazi per i nuovi eletti iniziano a sollecitare affinché Bossi trasferisca i suoi numerosi scatoloni. Nel frattempo, agli uffici della Camera che si occupano della logistica arriva la richiesta non di Bossi per una delle tre stanze per i diversamente abili che si trovano vicino al Servizio bilancio dello Stato, al quinto piano di Montecitorio. Quindi in un altro palazzo rispetto a quello dei gruppi. Una richiesta, dicevamo, non del Senatùr che, anzi, non ci pensa proprio a isolarsi all’ultimo piano. Bossi, infatti, insiste per stare insieme agli altri deputati del Carroccio, che ha nella sua disponibilità il terzo piano del Palazzo dei gruppi. Anche per la mobilità non c’è problema, visto che gli spazi in questione sono accessibili con la sedia a rotelle grazie a pedane ad hoc già presenti. Così, dopo settimane di impasse, ci pensa Giorgetti a sbloccare la situazione. Cresciuto alla fine degli anni Ottanta nel Fronte della Gioventù (il movimento giovanile dell’Msi), il vicesegretario del Carroccio è in Lega dall’inizio degli anni Novanta e Bossi a cui deve molto lo conosce da una vita. «Umberto, ma che problema c’è? Io qui non ci metterò mai piede, visto che starò dalla mattina alla sera al Mef. Ti lascio il mio ufficio, fai come fosse il tuo», lo rassicura il ministro dell’Economia del neonato governo Meloni. Lo stallo si sblocca e in pochi giorni nella stanza di Giorgetti arrivano da Palazzo Madama gli scatoloni di Bossi.

Tutto risolto? Insomma. Il Capo, come lo chiamano i leghisti di vecchia osservanza, inizia ad utilizzare la stanza in questione. Che, però, nei giorni in cui è assente, viene usata come sala riunioni ed è accessibile a tutti i deputati e dipendenti del gruppo. Da qualche giorno, poi, è sparito pure il pc. E, va detto, un ufficio senza privacy e senza computer è cosa piuttosto strana. Altrettanto singolare è che la questione sia in piedi da mesi, perché a pensar male l’impressione è che Bossi sia ormai considerato un corpo troppo estraneo a quella Lega che fondò lui stesso quasi 39 anni fa (l’atto notarile che dà vita alla Lega Lombarda autonomista fu firmato a Varese il 12 aprile 1984). E chissà che non c’entri qualcosa pure il Comitato Nord, che proprio il Senatùr ha voluto benedire personalmente alla prima uscita pubblica lo scorso dicembre. O magari, più banalmente, siamo solo davanti all’ennesima incomprensione organizzativa. Insomma, solo un equivoco. Anche se piuttosto simile a quello del 2015.

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