Gli scarti della filiera del riso diventano risorsa e si trasformano in prodotti per la costruzione e l’arredamento della casa. Portando beneficio all’ambiente e alle persone.
di Valeria Pagani
Se fino a qualche anno fa la casa di cemento e mattoni costruita dal terzo porcellino nella nota fiaba di James Orchard Halliwell-Phillipps sarebbe potuta sembrare la struttura più adeguata per tenere lontano il lupo, oggi ci rendiamo conto che non è necessariamente così. Materiali naturali derivanti, ad esempio, dagli scarti della filiera del riso stanno emergendo come ottime alternative da integrare al materiale da costruzione oggi più utilizzato al mondo, il cemento, la cui produzione comporta un impatto enorme sull’ambiente. Sulla base dei dati elaborati dal Royal Institute of International Affairs – il think thank chiamato anche Chatham House, specializzato in analisi geopolitiche – ogni anno vengono prodotti oltre 4 miliardi di tonnellate di cemento, che rappresentano circa l’8% delle emissioni globali di CO2. I processi di combustione chimica e termica coinvolti nella produzione di questo materiale sono una grande fonte di emissioni di anidride carbonica, che contribuiscono in modo determinante all’aumento delle temperature. Se l’intensità di CO2 derivante dalla produzione di cemento è aumentata dell’1,8% all’anno nel periodo 2015-2020, è oggi necessario un calo annuo del 3% fino al 2030 per entrare in linea con lo scenario di emissioni zero entro il 2050. E, come detto, per raggiungere questo ambizioso obbiettivo potrebbero venirci in aiuto i sottoprodotti delle nostre colture agricole.
Ricehouse, la startup che del riso non butta via niente
Se ci venisse voglia di fare una gita tra le montagne della Valle d’Aosta, più precisamente a Chamois e Gressoney-la Trinitè, tra un bosco e l’altro potremmo imbatterci in due stupende case costruite con gli scarti del riso. Integrate perfettamente nel contesto in cui si trovano, queste strutture abitative sono come ecosistemi naturali, sostenibili da un punto di vista economico, sociale ed ambientale. Nel 2016 Tiziana Monterisi, architetta specializzata in edilizia bioecologica, ha fondato insieme al suo compagno e geologo Alessio Colombo la startup Ricehouse, che trasforma gli scarti derivanti dalla lavorazione del riso in materiali naturali per la bioedilizia. Un esempio perfetto di economia circolare. Per la loro attività non potevano che stabilirsi in un territorio a lunga tradizione risicola: l’alto Piemonte, dove si produce il 50% di tutto il riso italiano. Nella realtà, l’Italia intera è riconosciuta come il primo produttore europeo di riso con circa 230.000 ettari di terreno coltivati. L’enorme potenzialità di tutto quello che “resta sul campo” può realmente essere messa a sistema sviluppando soluzioni concrete nell’ottica di far diventare i sottoprodotti dell’agricoltura una risorsa. Così che nulla debba venire buttato o addirittura bruciato.
I due fondatori di Ricehouse sono oggi arrivati a produrre una linea di articoli totalmente vegetali per la casa e il suo arredamento. Ma c’è da fare una precisazione, in Italia il decreto del 2018 “Norme tecniche per le costruzioni” identifica e regola quali sono i materiali da utilizzare per le strutture portanti e tutti i materiali innovativi, tra cui quelli derivanti dagli scarti del riso, non sono inclusi. “Nonostante saremmo in grado di costruire la struttura portante con gli scarti del riso, la normativa italiana ancora non lo permette.” – dice a 3BMeteo Alessio Colombo co-founder di Ricehouse – “Noi andiamo a rifinire tutto quello che è il resto della casa: dai pavimenti ai muri con mattoni e pannelli isolanti, dai coppi del tetto ai rivestimenti delle facciate esterne e ancora produciamo tutto ciò che serve per le tinture, quindi intonaci e finiture. Ci stiamo dirigendo anche verso il mondo dell’arredamento, del design, degli accessori e del vivere la casa di riso: stiamo infatti sviluppando brevetti per la creazione di piatti e mobili.” Ma non finisce qui: tutti i loro prodotti sono assemblati a secco. Questo significa che a fine vita della casa, ogni pezzo può essere smontato e riassemblato altrove oppure essere smaltito senza finire nell’indifferenziato (non essendo rifiuti misti). Alcuni prodotti, per esempio, potrebbero essere portati in un biodigestore e tornare al campo sotto forma di fertilizzante. Una circolarità perfetta: il prodotto nasce dagli scarti lasciati sul campo e lì ritorna.
I due elementi base dei prodotti sono la paglia di riso, ovvero ciò che rimane della pianta del cereale successivamente alla fase dell’essiccazione, e la lolla di riso, il “guscio” che ricopre il chicco e che viene asportato tramite il processo di sbramatura del riso grezzo, chiamato anche risone. Mediamente ogni ettaro di terra coltivato produce 7 tonnellate di riso e 10 tonnellate di scarti. “In Italia avremmo una grande possibilità di recuperare gli scarti: in un anno vengono prodotti un milione e mezzo di tonnellate di riso, da cui derivano 0.5 milioni di tonnellate di lolla e 1,2 milioni di tonnellate di paglia. Questisottoprodotti sono in grado di stoccare e prelevare dall’atmosfera circa 2.300.000 tonnellate di CO2 ogni anno. Noi naturalmente non utilizziamo tutti questi scarti, ma grazie alla nostra attività, che evita che vengano bruciati, l’anno scorso siamo riusciti a sequestrare dall’ambiente 266 tonnellate di CO2. L’equivalente di ciò che stoccherebbero 9000 alberi.” Tramite l’utilizzo di questi prodotti, quindi, le città stesse potrebbero diventare dei magazzini di anidride carbonica. E, a pensarci, se applicate a grande scala, le potenzialità dei materiali naturali derivanti dagli scarti del riso potrebbero essere enormi: con 756 milioni di tonnellate prodotte a livello globale nel 2019, il riso è la terza coltura agricola più prodotta al mondo, dopo la canna da zucchero e il mais.
Ricehouse è sbarcata al Fuorisalone, l’evento madre del design italiano, il 5 giugno, in occorrenza della Giornata mondiale dell’Ambiente. L’occasione è stata una cena “zero waste” organizzata da Action Aid a Base, lo spazio ricreato nell’area post-industriale dell’ex acciaieria Ansaldo di via Tortona, che promuove l’innovazione e la creatività. Qui gli invitati hanno vissuto un’esperienza di alta cucina basata sull’assenza di sprechi. Il cibo è stato preparato dalle cuoche di Altatto, tre giovani donne, Cinzia, Giulia e Sara, che nella loro cucina puntano tutto su prodotti stagionali e locali. Chip di riso soffiate, tartellette di riso saraceno e musse di aglio, pandispagna soffiato di riso e barbabietole e altre pietanze eccezionali sono state servite in piatti fatti di materiali interamente prodotti da scarti alimentari: tra questi i piatti di Ricehouse. Mangiare un gustosissimo riso alla liquirizia e scorze di limone su un piatto di scarti di riso non ha prezzo.