epa09038617 A health worker administers a dose of COVID-19 vaccine to a woman during a day of vaccination at a drive-in in Brasilia, Brazil, 26 February 2021. EPA/Joédson Alves

‘Covid potrebbe restare con noi 20 anni’: Lo studio di Science divide la comunità scientifica

Mentre in Italia crescono le zone con un alto rischio di diffusione Covid e con gli ospedali vicini al collasso, il Governo studia nuove restrizioni per contrastare la pandemia, che potrebbero portare anche una nuova zona rossa nazionale per 3 o 4 settimane, sta facendo parecchio discutere uno studio pubblicato lo scorso 12 febbraio sulla prestigiosa rivista scientifica Science.

Un anno dopo la sua comparsa, il Covid è diventato così diffuso che, scrivono gli autori della ricerca, ci sono poche speranze di eliminarlo. Di fatto, i ricercatori della Emory e della Penn State University rilanciano l’idea che dovremo imparare a convivere col Coronavirus per i prossimi anni. Tanti anni, tantissimi: addirittura 20 se non riapriamo tutto. Questa l’idea di fondo dell’analisi condotta.

Se si allenteranno le misure restrittive anti-Covid e si smetterà con lockdown e zone rosse, favorendo un’immunità acquisita nelle giovani generazioni, fascia in cui il Coronavirus decorre nella stragrande maggioranza dei casi in maniera lieve o asintomatica, potremo arrivare a ottenere prima l’immunità di gregge.

Più lasciamo il virus libero di circolare, prima lo sconfiggeremo, a patto di proteggere le fasce più esposte e vulnerabili, come gli anziani, e di andare avanti con le vaccinazioni e le cure. Se si continuerà con l’attuale linea dura più o meno diffusa in tutto il mondo occidentale, invece, avremo a che fare con il virus ancora per moltissimo tempo.

Gli ultimi decenni hanno visto molteplici infezioni virali acute, tra cui la SARS, la MERS, i virus Hendra, Nipah ed Ebola. Fortunatamente, tutte erano limitate localmente. Il problema del Coronavirus attuale è che si trasmette anche durante la fase asintomatica dell’infezione, cosa che ne rende difficile il controllo.

Quando il contenimento non ha successo immediato, come è evidente per il SARS-CoV-2, è necessario secondo i ricercatori capire e pianificare la transizione verso l’endemicità e la circolazione continua, con possibili cambiamenti nella gravità della malattia dovuti all’evoluzione del virus e all’accumulo di immunità e resistenza dell’ospite.

Esistono altri sei coronavirus umani che sono endemici e causano più reinfezioni che generano un’immunità sufficiente per proteggere da gravi malattie degli adulti, spiegano gli esperti. E che potrebbero fornire indizi importanti sugli scenari futuri per l’attuale pandemia.

Quattro coronavirus umani (HCoV) circolano endemicamente in tutto il mondo: questi causano solo sintomi lievi e non rappresentano un peso considerevole per la salute pubblica. Altri due ceppi di HCoV, SARS-CoV-1 e MERS-CoV, sono emersi negli ultimi decenni e hanno tassi di mortalità più elevati rispetto a Covid-19, ma sono contenuti e quindi non si sono mai diffusi ampiamente.

Jennie S. Lavine, Ottar N. Bjornsta e Rustom Antia hanno sviluppato un modello con cui analizzare la traiettoria del SARS-CoV-2 in endemicità. Il modello tiene conto del profilo della malattia strutturato per età e valuta l’impatto della vaccinazione.

L’ipotesi è che tutti i coronavirus umani suscitino un’immunità con caratteristiche simili e l’attuale problema acuto di salute pubblica è una conseguenza dell’emergenza epidemica in una popolazione immunologicamente debole, in cui i gruppi di età più avanzata senza precedente esposizione sono più vulnerabili a malattie gravi.

Il passaggio dalla fase epidemica a quella endemica è associato a uno spostamento nella distribuzione per età delle infezioni primarie verso i gruppi di età più giovani, che a sua volta dipende dalla velocità di diffusione del virus. L’immunità più duratura rallenterà la transizione verso l’endemicità. A seconda del tipo di risposta immunitaria che genera, un vaccino potrebbe accelerare l’instaurarsi di uno stato di endemicità lieve della malattia.

Questo studio dei dati immunologici ed epidemiologici sui coronavirus umani endemici (HCoV) mostra che l’immunità che blocca le infezioni diminuisce rapidamente ma che l’immunità che riduce la malattia è di lunga durata.

La ricerca suggerisce che, una volta che si raggiunge la fase endemica e che l’esposizione primaria è nell’infanzia, il SARS-CoV-2 può essere non più virulento del comune raffreddore.

Nella sua forma più robusta, l’immunità può impedire la replicazione di un agente patogeno, rendendo così l’ospite refrattario alla reinfezione: questa proprietà si chiama efficacia immunitaria rispetto alla suscettibilità (IES). Se l’immunità non impedisce la reinfezione, può comunque attenuare la patologia dovuta alla reinfezione (IEP) e/o ridurre la trasmissibilità o l’infettività.

La reinfezione è possibile entro un anno (IES relativamente breve), ma dopo la reinfezione i sintomi sono lievi (IEP alto) e il virus viene eliminato più rapidamente (IEI moderato).

All’inizio di un’epidemia, la distribuzione per età dei casi rispecchia quella della popolazione. Una volta che i dati demografici dell’infezione raggiungono uno stato stazionario, questo modello prevede che i casi primari si verifichino quasi interamente nei neonati e nei bambini piccoli.

Si prevede che le reinfezioni negli individui più anziani siano comuni durante la fase endemica e contribuiscano alla trasmissione, ma in questa popolazione allo stato stazionario, gli individui più anziani, che sarebbero a rischio di malattia grave da un’infezione primaria, hanno acquisito l’immunità che riduce la malattia dopo infezione durante l’infanzia.

Il tempo necessario per completare il cambiamento in IFR man mano che si sviluppa l’endemicità dipende sia dalla trasmissione che dalla perdita di immunità. Il passaggio dalle dinamiche epidemiche a quelle endemiche è associato a uno spostamento nella distribuzione per età delle infezioni primarie verso i gruppi di età inferiore. Questa transizione può richiedere da pochi anni a pochi decenni, a seconda della velocità con cui si diffonde il virus.

Concludendo, lo studio che alcuni hanno persino definito “shock”, suggerisce che l’utilizzo dei sintomi come strumento di sorveglianza per frenare la diffusione di SARS-CoV-2 diventerà più difficile, poiché le reinfezioni più lievi contribuiranno sempre più alle catene di trasmissione. Inoltre, l’infezione o la vaccinazione possono proteggere dalle malattie ma non fornire il tipo di immunità che consente la schermatura totale dal virus o la generazione dell’immunità di gregge a lungo termine.

In India, ad esempio, anche a causa di una evidente scarsità di mezzi, milioni di persone si sono esposte al contagio senza particolari precauzioni e i casi sono esplosi. Ma oggi, secondo diversi esperti, gli indiani delle aree rurali avrebbero quasi raggiunto l‘immunità di gregge. Vero è che dall’inizio della campagna di vaccinazione lo scorso 16 gennaio, sono state già vaccinati 17milioni e 700mila indiani. Al contrario in Italia, con questo ritmo di vaccinazioni ci vorranno anni per proteggere tutta la popolazione.

Non solo. Il distanziamento sociale e un vaccino efficace sono fondamentali per il controllo durante un’epidemia appena arrivata e la transizione da essa, ma una volta entrati nella fase endemica, la vaccinazione di massa potrebbe non essere più necessaria.

Se le infezioni primarie dei bambini saranno lievi, la vaccinazione continua potrebbe non essere necessaria poiché i casi primari regredirebbero a lievi raffreddori. Se invece l’infezione primaria nei bambini fosse grave come per la MERS, la vaccinazione dei bambini dovrebbe essere continuata.

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