Crisanti e la lettera sul vaccino: cosa ha detto e perché è finito nella bufera

Ha alzato un polverone la lettera che Andrea Crisanti, Professore Ordinario di Microbiologia e Direttore del Dipartimento di Medicina molecolare presso l’Università di Padova, tra i volti più noti di questa pandemia, anche mediatica, ha scritto di sua mano al Corriere della Sera.

I dubbi di Crisanti sul vaccino anti-Covid

Una presa di posizione forte, dove ribadisce la sua convinzione, molto criticata e anche in parte travisata, sul vaccino anti-Covid.

Crisanti alcuni giorni fa aveva espresso delle perplessità rispetto ai tempi di realizzazione dei vaccini pronti al lancio sui mercati, da Pfizer a Moderna a AstraZeneca. Vaccinarsi contro il Covid-19 a gennaio? “Senza dati, io non lo farei”. Dichiarazioni che hanno scatenato il putiferio, sia nel mondo medico che politico.

“Ribadisco che oggi non farei il vaccino Covid perché non abbiamo i dati sui test“: non è pienamente validato dalla comunità scientifica e quindi non pienamente sicuro, dice. “Sulle basi delle conoscenze che abbiamo oggi non mi farei il vaccino, ma se dovessero rendere pubblici i dati e la comunità scientifica ne validasse la bontà, me lo farei, non ho alcun dubbio su questo”.

A Sky TG24 ribadisce che “è una questione di trasparenza: se si vuole generare fiducia bisogna essere trasparenti. Più gli scienziati lamentano assenza di informazioni e più la pretendono, più la gente si fida. La trasparenza genera un bene inestimabile: la fiducia. Questa levata di scudi che c’è stata è assolutamente irragionevole, perché non ho detto che non mi farò il vaccino, ma semplicemente che è necessario che tutti nella comunità scientifica abbiano accesso ai dati grezzi. In questo modo facciamo il vaccino tutti quanti, senza nessun timore e alcun retropensiero”.

Cosa dicono i dati

Nonostante il vaccino sia l’unica arma che davvero abbiamo a disposizione per uscire dalla pandemia, come affermato con forza anche dal Premio Nobel per la Medicina 2020 Michael Houghton, e nonostante le rassicurazioni arrivate da Aifa e Cts sulla sicurezza dei test in corso, i sondaggi dicono che ben 1 italiano su 3 oggi non si farebbe vaccinare: secondo una rivelazione Tecnè il 33,7% preferisce aspettare per vedere se è sicuro, mentre il 24,8% è proprio contrario.

Crisanti nutre grossi dubbi sull’accelerazione che ha portato a risultati considerati ottimali in pochissimi mesi. Si parla del 95% di efficacia per il vaccino di Pfizer, del 94,5% per Moderna e del 70% per AstraZeneca. “Non ho perplessità su nessun vaccino in particolare. Il difetto è nella procedura affrettata” spiega Crisanti. “Qualsiasi vaccino approvato con metodo accelerato merita lo scrutinio attento di tutta la comunità scientifica”.

E cita il caso del farmaco Remdesivir, il primo approvato per curare il Coronavirus e oggi, dopo mesi, “sospeso” dall’Oms perché non abbastanza efficace, tanto da riportare la sua procedura di approvazione in revisione. “Ci sono delle procedure che sono accelerate che hanno intrinsecamente dei rischi. Lo dicono tutti, solo questo è un Paese provinciale e si pensa che se qualcuno chiede trasparenza si scatena un putiferio. Io non chiedo scusa. Dovrebbe chiedere scusa chi ha approvato il Remdesivir in modo frettoloso e poi non è risultato essere buono”.

Per lo stesso motivo, secondo Crisanti, il vaccino non deve essere obbligatorio: “Non esiste da nessuna parte che un vaccino che passa per un processo accelerato diventi obbligatorio. Ci si assumerebbe delle responsabilità gigantesche”.

La lettera di Crisanti sul vaccino

Pubblichiamo qui di seguito la lettera che Crisanti ha scritto al Corriere della Sera:

Caro Direttore,

in una recente intervista a Focus life in risposta alla domanda se mi sarei vaccinato a gennaio ho affermato che non lo avrei fatto fino a che i dati di efficacia e sicurezza non fossero stati messi a disposizione sia della comunità scientifica sia delle autorità che ne regolano la distribuzione.

Ho formulato un concetto di buon senso che non esprimeva alcun giudizio negativo sulla bontà del vaccino né tantomeno metteva in discussione la validità della vaccinazione come il mezzo più efficace per prevenire la diffusione delle malattie trasmissibili. La mia storia personale e scientifica ne è la testimonianza.

La mia dichiarazione, che credo abbia interpretato il sentimento dei tanti che hanno a cuore e danno valore al metodo scientifico, è stata ispirata dalla modalità con cui le aziende produttrici hanno comunicato i risultati raggiunti senza accompagnarli ad una adeguata informazione almeno per quanto riguarda la Fase III.

La trasparenza è la misura del rispetto che si nutre nei confronti degli altri e genera un bene prezioso, la fiducia. In questi giorni le aziende produttrici, invece di condividere i dati con la comunità scientifica, hanno privilegiato una comunicazione basata su proclami non sostanziati da evidenze.

Noi tutti riponiamo in questi vaccini delle grandi aspettative; se le aziende in questione sono in possesso di informazioni che giustificano annunci che possono apparire rivolti in particolare ai mercati finanziari, devono essere rese pubbliche anche in considerazione del fatto che la ricerca è stata largamente finanziata con quattrini dei contribuenti.

La notizia che dirigenti delle due aziende produttrici abbiano esercitato il loro diritto, ne sono certo legittimo, a vendere le azioni per sfruttare i vantaggi legati al rialzo di prezzo non ha contribuito a generare un sentimento di fiducia.

A poche ore dalla mia intervista si è scatenato un inferno mediatico senza precedenti, illustri colleghi in coro hanno fatto a gara per censurare le mie parole definite irresponsabili. Secondo alcuni avrei addirittura messo in pericolo la sicurezza nazionale!

I custodi della ortodossia scientifica non ammettono esitazioni o tentennamenti, reclamano un atto di fede a coloro che non hanno accesso a informazioni privilegiate «il vaccino funzionerà», tuonano indignati. Io sono il primo ad augurarmelo, mi permetto tuttavia di obiettare che il vaccino non è un oggetto sacro. Lasciamo la fede alla religione e il dubbio ed il confronto alla scienza che ne sono lo stimolo e la garanzia.

Tra gli indignati si annoverano alcuni che durante l’estate ci hanno raccontato che le evidenze cliniche portavano a pensare che la crisi sanitaria fosse superata e che il virus fosse meno contagioso, e purtroppo possono avere inconsapevolmente incoraggiato comportamenti che hanno dato un contributo importante alla trasmissione del virus in quei mesi. Altri sono autorevoli membri del comitato tecnico scientifico a cui l’Italia si è affidata fiduciosa per prevenire una possibile seconda ondata, tutelare le attività commerciali, favorire la ripresa produttiva e garantire le attività didattiche.

A partire dal mese di luglio il virus ha ucciso circa 15.000 persone e ne ha infettate 1.140.000: vorrei scriverlo «ad alta voce» perché per questa strage silenziosa non si indigna nessuno. Chi racconterà la storia di questa epidemia in futuro non troverà eco delle mie parole di qualche giorno fa, ma rimarranno impietose le statistiche a denunciare questi numeri e a mettere a nudo gli errori commessi.

La mia dichiarazione sul vaccino pronunciata con schiettezza ha toccato un nervo scoperto. Senza strumenti per controllare l’epidemia a meno di affidarsi a severe misure restrittive e senza una linea di difesa contro una seconda e possibile terza ondata, le opzioni a disposizione sono drammaticamente ridotte.

A questo punto tutte le speranze sono riposte nel vaccino come la pioggia per un popolo assetato nel deserto. Questo non giustifica la demonizzazione di chi possa avere dubbi, di chi chiede spiegazioni e di chi chiede trasparenza. Continuare su questa strada è il modo migliore per alimentari sospetti e fornire argomenti a chi si oppone all’uso dei vaccini.

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