Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nel corso dell'informativa al Senato sull'attuale situazione delle carceri, Roma, 11 marzo 2020. ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI

Cura Italia, esame al Senato. Il governo ha chiesto la fiducia

Il governo ha chiesto il voto di fiducia per il decreto ‘Cura Italia’ ora all’esame del Senato. Ad annunciarlo nell’Aula di Palazzo Madama è stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà. Il gruppo delle Autonomie al Senato ha assicurato il voto favorevole, mentre Lega, FI e FdI confermano il no al provvedimento.

 “Il Cura Italia, che oggi il Senato approverà, è solo il primo dei tanti decreti disposti dal Governo per gestire l’emergenza economica. I margini di manovra del Parlamento sui 25 miliardi del decreto erano oggettivamente difficili da prevedere. Per questo sono soddisfatto del comportamento delle opposizioni, votano contro il provvedimento, ma non hanno fatto ricorso all’ostruzionismo.”. Lo ha detto il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci intervenendo a Radio Anch’io su Radio Rai Uno.

La seduta del Senato, infatti, è ripresa e sono in corso le dichiarazioni di voto sulla fiducia al dl Cura Italia anche se la fiducia, di fatto preannunciata, non è stata ancora tecnicamente posta dal governo sul testo. Il dibattito viene trasmesso in diretta televisiva.

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento aveva chiesto, a inizio seduta, un rinvio di due ore, fino alle 11.30 dell’esame del dl Cura Italia, su cui si accinge a porre la fiducia, a causa di un “ritardo nella bollinatura del testo”. Tuttavia, tutti i gruppi, per agevolare il rientro a casa dei senatori in relazione alle difficoltà di viaggiare in Italia per l’emergenza coronavirus, hanno eccezionalmente acconsentito a avviare l’esame del provvedimento anche nelle more che arrivi il testo bollinato che, ha garantito D’Incà, “ricalca interamente quello approvato dalla commissione fatta salva l’eliminazione di alcune norme che sono nel dl scuola e nel dl liquidità”.

Il decreto Cura Italia compensa solo il 30% delle perdite subite dai lavoratori autonomi per il lockdown ed esplica maggiori effetti al Sud in rapporto al Pil (1,4% contro l’1,2% nel Centro-Nord), mentre in termini pro capite si concentra maggiormente al Centro-Nord (372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno). Questi i dati elaborati da Svimez secondo cui con il Cura Italia il Centro-Nord risulta “compensato” per il 40% della perdita subita, il Sud per il 50%.

Secondo la stima di Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, il lockdown costa circa 47 miliardi di euro al mese (il 3,1% del Pil italiano): 37 “persi” al Centronord, 10 al Sud. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana: 951 euro al Centronord contro 473 euro al Sud.

 E, nonostante il minore impatto subito dal Mezzogiorno, secondo Svimez è proprio il Sud a rischiare di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centronord nella fase della ripresa, perché sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto. Per Svimez, inoltre, occorre “completare il pacchetto di interventi per compensare gli effetti della crisi sui soggetti più deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio povertà e micro imprese“.

Per quel che riguarda il Pil, ipotizzando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, nel 2020 si ridurrebbe dell’8,4% per l’Italia, registrando un -8,5% al Centronord e un -7,9% nel Mezzogiorno. Crollano i fatturati A livello di fatturati, la perdita complessiva sul territorio nazionale è di oltre 25,2 miliardi, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. Una distribuzione territoriale simile si osserva per le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito lordo di circa 2mila euro, 1.900 e 1.800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree.

Il decreto era stato pesantemente criticato dalle opposizioni che hanno parlato come ha fatto Maurizio Gapsarri (FI) di “presa in giro degli italiani”.

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