Da 15 al 17 dicembre al Teatro Nuovo di Napoli ‘Accabadora’ dal romanzo di Michela Murgia

Accabadora, uno dei più bei romanzi di Michela Murgia, nonché uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni (Einaudi 2009; vincitore del Premio Campiello 2010), è il nuovo spettacolo di Veronica Cruciani con Monica Piseddu, che debutterà a Napoli, venerdì 15 dicembre 2017 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 17), sul palcoscenico del Teatro Nuovo, presentato da Compagnia Veronica Cruciani, Teatro Donizetti di Bergamo, CrAnPi.

In occasione del debutto partenopeo, la scrittrice Michela Murgia e la regista Veronica Cruciani saranno ospiti di un incontro con il pubblico, venerdì 15 dicembre 2017 alle ore 17.00 presso la Libri & Professioni/Mondadori (Via Santa Brigida 22, Napoli), moderato dalla giornalista Angela Matassa.

Accabadora è una storia d’amore tra una figlia e una madre, non la madre naturale, ma l’altra madre. I due grandi temi dell’eutanasia e della maternità surrogata si compenetrano armoniosamente nel testo, creando un forte ambito di riflessione in cui centrali sono l’affetto e la crescita.

Una vicenda delicata ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a Bonaria Urrai, una sarta che all’occasione fa l’accabadora, ossia aiuta le persone in fin di vita a morire.

La versione drammaturgica di Accabadora, è stato scritta da Carlotta Corradi su richiesta della regista, che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai l’accabadora di Soreni. La loro proposta è stata immediatamente accolta dalla scrittrice sarda, la quale, per la prima volta, ha deciso di appoggiare e accompagnare la nascita di uno spettacolo nato dal suo romanzo.

La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere. Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire, e Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura.

È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. È a questo punto della storia che comincia il testo teatrale. Maria è ormai una donna, o vorrebbe esserlo. Ma la permanenza sul letto di morte della Tzia mette in dubbio tutte le sue certezze.

Un dialogo vivo, forse solamente interiore, in cui la protagonista ripercorre tutte le tappe di un passato che l’ha tenuta bloccata, negli affetti e nella crescita,

Le scene e i costumi sono a cura di Barbara Bessi, le luci di Gianni Staropoli, i suoni di Hubert Westkemper, i video di Lorenzo Letizia.

 

Accabadora dal romanzo di Michela Murgia

Napoli, Teatro Nuovo – da venerdì 15 a domenica 17 dicembre 2017

Inizio spettacoli ore 21.00 (venerdì e sabato), ore 18.30 (domenica)

Info e prenotazioni al numero 0814976267 email  botteghino@teatronuovonapoli.it

Da venerdì 15 a domenica 17 dicembre 2017

Napoli, Teatro Nuovo

Compagnia Veronica Cruciani, Teatro Donizetti di Bergamo, CrAnPi

presentano

Accabadora

dal romanzo di Michela Murgia

drammaturgia Carlotta Corradi

con Monica Piseddu

scene e costumi Barbara Bessi

 luci Gianni Staropoli

suono  Hurbert Westkemper

video Lorenzo Letizia

foto di scena Marina Alessi

realizzazione scene Antonio Belardi

decorazione scene Giada Podestà

assistente alle luci Raffaella Vitiello

assistenti alla regia Giacomo Bisordi, Mario Scandale

regia Veronica Cruciani

durata della rappresentazione 70’ circa, senza intervallo

Michela Murgia racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora.

La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere; Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura.

È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. È a questo punto della storia che comincia il testo teatrale.

Maria è ormai una donna, o vorrebbe esserlo. Ma la permanenza sul letto di morte della Tzia mette in dubbio tutte le sue certezze.

“Ho scelto questo romanzo perché questa storia ci propone un modello alternativo di famiglia, dove la madre non è quella biologica ma adottiva, e quindi un modello diverso di società. Ha un aspetto politico, quello che sempre mi interessa nelle storie che scelgo di mettere in scena.

Il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria, sua madre, per me avviene solo nella testa della protagonista; è un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore. Per questo in scena ho posto una parete grigia che rappresenta uno spazio mentale, la scatola cranica di Maria da cui anche provengono dei suoni, suoni di tenebre notturne in cui Maria insonne cerca di superare il lutto della morte di questa madre di fatto.

Da un punto di vista psicanalitico il primo grande lutto è proprio ‘io non sono mia madre’. Finisce il periodo imitativo e comincia la fase di consapevolezza del sé corporeo. È grazie a un processo dove mettiamo in luce una serie di diversificazioni che avviene il processo di separazione e questo provoca inevitabilmente una forma di angoscia. L’uccisione della zia diventa quindi una metafora della crescita di Maria che da immatura diventa donna, riattraversando il doloroso passato e proiettandosi verso il futuro.

Esiste un’antica credenza popolare che attribuisce alla comparsa del Doppio il significato di morte incombente. La figura della morte assume sembianze corporee, specifiche e inconfondibili, dell’individuo che ne fa l’esperienza. Il messaggio può essere tradotto cosi io sono la cosa a te più familiare e al contempo la cosa più terrificante che tu stesso possa incontrare, sono ciò che conosci da sempre e che da sempre ignori.” (Veronica Cruciani)

 “Il monologo, in fondo, racconta una storia d’amore. In questo caso, tra una figlia e una madre. In questo caso, non la madre naturale. Ma l’altra madre. I due grandi temi che oggi chiameremmo dell’eutanasia e della maternità di fatto, nel testo teatrale come nel romanzo, creano un ambito di riflessione ma non sono mai centrali quanto l’amore e la crescita. Crescita sempre e inevitabilmente legata al rapporto con la propria madre, naturale, adottiva o acquisita che sia.” (Carlotta Corradi).

“Carlotta Corradi ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo. Chiamarlo ‘riduzione’ non va bene: è un ampliamento. Una visione che io non ho assunto perché la mia attenzione era sulla vecchia, non sulla bambina. È un pezzo di Maria che mancava, sono felice che siano state altre donne a vederlo. Probabilmente dieci anni fa, quando ho scritto il romanzo, non ero in grado di vedere la Maria adulta. Ora è un piacere leggerla nelle parole, negli occhi, nel gesto artistico di altre professioniste. Pur non avendo scritto una parola, potrei controfirmarla, la sento molto mia, molto somigliante all’intenzione letteraria che c’era nel romanzo.” (Michela Murgia)

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