Enzo Moscato è un attore, autore e regista teatrale; in un ventennio di teatro ha scritto e interpretato spettacoli di grandi invenzioni stilistiche e sceniche. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti il Premio Riccione/Ater per il Teatro 1985, il Premio Ubu per il Teatro 1988 e 1994, il Biglietto d’Oro AGIS 1991, il Premio Franco Carmelo Greco 2004.
Ha liberamente tradotto in italiano per la scena testi come Arancia Meccanica, Ubu Re, Tartufo. Al suo attivo ha anche due cd come chansonnier.
Per il cinema ha lavorato in Morte di un matematico napoletano di Mario Martone, Libera di Pappi Corsicato, Il verificatore di Stefano Incerti, e con Antonietta de Lillo in Racconti di Vittoria, Maruzzella (episodio de I vasuviani) e Il resto di niente. Nel 2006 viene scelto dal regista Mimmo Palladino nella sua particolarissima versione del romanzo di Cervantes in Quiote, storia del viaggio interiore dell’eroe senza patria, perso nella mancha, dove divide il set con gli attori Peppe Servillo e Ginestra Palladino Ricordiamo, per inciso, che negli anni 90 è stato definito dalla critica ‘il nuovo Carmelo Bene’.
Moscato inizia la sua carriera teatrale verso la fine degli anni Settanta con i primi lavori CarcioffolàScannasurice e Trianon, fino al conseguimento del primo importante riconoscimento nel 1985, il Premio Riccione/Ater per Pièce Noire. Inizia così una lunga e prestigiosa carriera di teatro scritto e interpretato: drammi, commedie, monologhi, atti unici lirici, rapsodie, frammenti.
La consacrazione in quegli anni a nuovo importante esponente della drammaturgia napoletana lo vede anche affrontare una crisi esistenziale di cui egli stesso dice: ‘… depressione, paranoia, stavo male …’, e che affronta con un lungo percorso psicoanalitico di scuola junghiana. In questa fase della sua vita Moscato analizza soprattutto la sua identità di uomo di teatro arrivando ad ipotizzare nuovi possibili futuri sviluppi della propria esistenza ‘… può darsi che questa per me sia una tappa, ma io non mi immagino di finire la mia vita da drammaturgo, perché io penso che ci siano cose molto più importanti del teatro … apri un giornale e vedi queste stragi, cose che mi toccano e che mi fanno dire che è di questo che bisogna occuparsi …’.
In quegli anni, caratterizzati da una crisi esistenziale e da un percorso psicoanalitico, pubblica per la casa editrice Repostes ‘Fantasmi dell’immaginario’, un testo che ripercorre la poetica di Jean Arthur Rimbaud, e in contemporanea risolve la sua crisi esistenziale e sboccia come vera ed autentica ‘identità teatrale’.
L’eclettico artista partenopeo si è dedicato anche alla musica ed al cinema svolgendo laboratori sulla scrittura teatrale all’Università degli Studi di Salerno e all’Università degli Studi ‘Suor Orsola Benincasa’ di Napoli. Nel triennio 2007-2009 è stato il direttore artistico del Festival ‘Benevento Città Spettacolo’.
‘Ritornanti’ che andrà in scena al Trianon Viviani, nasce da un composit di brani e letture tratte da Spiritilli, Little Peach e Cartesiana (tre testi dello stesso Moscato), Ritornanti è un titolo preso a prestito da Anna Maria Ortese, che con questo nome descrive i folletti, gli spiritilli, che abitano la città di Napoli; ma sta anche a significare il ritorno ossessivo degli stessi temi. È, secondo le parole dell’autore, un modo di portarsi dietro ‘le proprie masserizie ideologiche e grammaticali’, perché nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro. Nessun movimento, nessun gesto, nessun respiro, già vissuti, dovrebbero essere considerati finiti, de-finiti, esautorati. Morti. Ma chi sono, allora, i ritornanti? Sono Nannina e Totore finiti con la loro bimba nel palazzo incantato del ‘munaciello’; la spogliarellista Little Peach con il suo passato carico di dolore; tre transessuali, Cartesiana, Miss ‘Nciucio e Cha Cha Cha, che viaggiano nel cuore della Spagna per trovare definitivamente la loro identità. Storie a metà tra il fantastico e il grottesco, narrate con una lingua che è un ‘babelico incrocio di vari idiomi, napoletano, francese e spagnolo’.
‘Ritornanti’ ha un prologo che si svolge a Napoli. Una Napoli reale che evoca, e consente, al tempo stesso l’irreale, manifestato con il narrativo ed il fantasioso. Le dissolvenze verbali avvengono in una magica progressione che raffigura l’apparenza della storia che racconta la vicenda di Nannina e di Totore, e del loro figlio Tubbettiello, mandati da una Sanzara a salita Concordia 37 per l’occupazione di una casa destinata però subito a crollare: non prima, tuttavia, che gli spiriti che abitano l’appartamento abbiano ricompensato l’onestà della famiglia, e la sua naturalezza pura e primigenia, con la salvezza della vita, la ricchezza delle tasche, un futuro rinnovato.
In ‘Ritornanti’ troviamo il contrasto tra il contemporaneo e l’insorgenza del passato, lo sfilacciamento sociale progressivo, l’italianizzazione omologante del Gennarino pasoliniano (quando sono in metropolitana Nannina e Totore non costituiscono una coppia e si chiamano Anna e Salvatore. Troviamo la passione moscatiana per le vecchie case ormai decrepite per i bassi e le saittelle dei Quartieri, per il rovesciamento infantile delle cose e dunque per i piccirille, ‘e criature che hanno in sé anche segni di vecchiaia, pieghe avvizzite nel volto o sulle coscetelle, accenti talora spaventevoli.
Il tema del crollo, che è al centro di ‘Ritornanti’, risulta più volte ne Gli anni piccoli: quando Moscato dice di ‘essere nato all’inizio della fine dello Splendore’ e ‘di avere in gran parte vissuto verso la fine dell’inizio della Decadenza’; quando elenca ‘pietre, mattoni, vàsoli, superstiti colonne e scalini’ di Napoli, dicendosi figlio e allievo ‘di ciò che si era costruito nei secoli dei secoli precedenti’.
Un ‘silenzio-cantatore’ lo definisce però Moscato, in cui far cadere qualcosa sul pavimento, uno spillo, un nastro, una piuma, qualche innocua inconsistenza di una camera, di notte, perché siano richiamati fantastici passi, un fantastico andirivieni, da una crepa all’altra dell’antico palazzo diroccato.
Rosaria Palladino