L’elezione prossima del Presidente della Repubblica ha come prima istanza, subito disattesa negli intenti dall’interessato, la rielezione di Sergio Mattarella così da garantire il massimo della continuità e della stabilità al governo di Mario Draghi.
In seconda istanza c’è la delicatissima questione di legittimazione del capo dello Stato, con una platea di grandi elettori verosimilmente ridotta dal Covid, che suggerirebbe dunque di evitare qualunque candidatura di parte, anche per scongiurare il rischio che quelle assenze si rivelino determinanti per la non elezione.
La composizione del prossimo parlamento, e della successiva platea dei grandi elettori, sarà molto diversa, per l’entrata in vigore della riforma costituzionale sul taglio dei seggi.
Per questi motivi, dunque, sembrerebbe molto ragionevole una scelta che avesse anche il significato di una proroga, dovuta a una condizione di oggettiva emergenza, lasciando in qualche misura il futuro impregiudicato, e che dunque, pur senza porre alcun limite al mandato presidenziale, desse un segnale di tregua, aprendo una fase di decantazione che consentisse poi a un nuovo parlamento, quando verrà il momento, di scegliere il successore di Mattarella.
L’elezione del capo dello Stato è il momento più solenne e la più sacra delle liturgie repubblicane. E un parlamento i cui membri ritengono opportuno postare sui social network i propri selfie da una camera ardente, come hanno fatto in tanti, accompagnando all’immagine del proprio volto contrito accanto alla bara di David Sassoli. Parliamo di un Parlamento che ha perso qualunque idea di decoro istituzionale.
Ormai viviamo nell’epoca del selfie e delle visite montate con la più banale procedura di marketing, presentate al pubblico come occasionali. ‘Cà nisciuno è fesso…’, ci viene da scrivere. Parliamo della visita a sorpresa di papa Francesco ai suoi amici del negozio di dischi Stereosound, al Pantheon.
In questo caso il direttore di Reports Rome Javier Martinez Brocal – scrive l’agenzia vaticana – si trovava casualmente in zona, immortalando l’uscita del Papa con la busta del regalo sotto il braccio, diffondendo poi la foto sui social, dove è diventata virale in poco meno di trenta minuti.
Brocal è il fotografo-biografo di Bergoglio e Reports Rome è la sua agenzia di stampa ispanofona che segue il Vaticano .
Come può Bergoglio essere ‘un uomo di una semplicità straordinaria’, se il suo fotografo era appostato per riprenderlo all’uscita del negozio? Volete realmente dirci che su una città di 2,8 milioni di abitanti, della superficie di 1,285 kmq, nell’arco di 15 minuti si sono casualmente incontrati il presunto papa e il suo reporter-biografo personale?
Stiamo parlando di tecniche di manipolazione mediatico-emozionali di Bergoglio e non. Non è la prima volta; nel 2015 si era recato in un negozio di ottica dicendo: ‘Non voglio una montatura nuova, bisogna rifare solo le lenti. Non voglio spendere. Che c’è di strano?’. Nel 2016, stessa solfa in un negozio di scarpe, ma lì almeno si aveva avuto l’accortezza di lasciare che fossero ‘i dipendenti del negozio’ a diffondere le foto.
Ora, chi conosce un poco la storia sa bene che la ‘passeggiata informale a sorpresa’ fra il popolo è uno dei più vecchi e abusati trucchi comunicativi adoperati dai governanti per la più immediata captatio benevolentiae del popolino e dei media. Infatti, il coro è stato unanime: ‘Lo avete visto! Il papa! Ma allora è uno di noi! Passeggia come un qualsiasi cittadino! Com’è democratico: ecco la sua straordinaria umanità, la sua semplicità, la sua vicinanza al popolo … poi con l’utilitaria, la 500…’.
Il meccanismo psico-demagogico elementare è, comunque, sempre lo stesso: non è il governante che ‘si abbassa’, ma è lui che ‘solleva gli altri’ al suo livello. Li fa sentire gratificati, emozionati, onorati. Poi quando a rompere il protocollo è una figura tradizionalmente irraggiungibile e circondata da un’aura di sacralità come il papa, figuriamoci. Ma ve li immaginate San Giovanni Paolo II o Benedetto XVI a organizzare queste manfrine?
Quanto citato, Bergoglio a parte, non è niente altro che una cartina di tornasole che può farci cogliere le autentiche finalità di chi non pensa a niente altro che a turlupinarci in modo più o meno sfacciato.
Il principio della cartina di tornasole è da applicare all’elezione del Presidente della Repubblica, per cogliere le autentiche verità nascoste dietro le proiezioni di facciata proposte ai cittadini.
Massimo D’Alema su Quirinale e dintorni indica alcune ragionevoli verità, partendo dal disegno chiaro, quello della destra di Giorgia Meloni che vuole eleggere il premier con buona pace del folle tentativo di Berlusconi di assaltare il Quirinale, mentre su cosa vuole il centrosinistra dice: ‘Non è chiaro, non riesco a capirlo’, visto che è poco chiaro il desiderio di Enrico Letta, che metterà il cappello su qualunque soluzione che non sia il Cavaliere.
D’Alema torna a ribadire che ‘è impressionante che il ‘draghismo’, cioè uno stato di eccezione, venga eletto a nuovo modello democratico, come se Mario Draghi fosse un Quisling messo lì da Goldman Sachs e non invece dal Parlamento italiano su impulso di Sergio Mattarella. Se non esattamente un usurpatore, almeno un estraneo alla normale lotta politica e dunque un’espressione di non-democrazia.
La pandemia induce a far coincidere la situazione presente con la figura di Mario Draghi, come se, anche a pandemia finita, egli fosse di per se stesso un politico autoritario o perlomeno a-democratico: tesi di cui ovviamente non solo non v’è prova ma nemmeno il sospetto.
Fatto sta che per D’Alema, e per tutti i sostenitori di un ‘ritorno alla democrazia’, il premier attuale va più o meno abbattuto, come diceva la sinistra extraparlamentare dello Stato borghese ‘che si abbatte e non si cambia’, e dunque è impensabile mandarlo per 7 anni al Quirinale. Però bisogna tenerselo un altro anno a palazzo Chigi – D’Alema ne è consapevole – perché ben difficilmente un leader diverso da SuperMario potrebbe mantenere unita una maggioranza così larga. Un anno ancora di Draghi con un programma rinnovato, impegno sul Pnrr e con una legge elettorale proporzionale: detta così, è il contrario di quel lungo governo balneare che probabilmente si avrebbe senza Draghi a palazzo Chigi.
Il che, unito al terrore dei parlamentari di tutti i partiti di scivolare verso le urne una volta caduto il governo Draghi, fa sì che Mario Draghi resterà premier mentre resta incerto e ignoto il nome che verrà proposto per il Quirinale.