Amintore Fanfani in una foto d'archivio. ANSA ARCHIVIO

Dalla prima Repubblica a oggi, l’odissea dei presidenti

Trampolino per il Colle, scranno dal quale far pesare la propria voce di leader di partito: dalla prima Repubblica a oggi i vertici di Camera e Senato, che saranno rieletti a partire da oggi, sono stati occupati da profili diversi, seguendo anche i cambiamenti della scena politica. Molti i poteri che spettano ai presidenti del Parlamento, tra cui anche quello di supplenza del Capo dello Stato: compito che spetta, secondo la Costituzione, al presidente di Palazzo Madama.

 E’ il 1968 quando sullo scranno più alto di Palazzo Madama sale per la prima volta Fanfani, che vanta il record del maggior numero di elezioni, cinque in tutto, e di dimissioni (una volta perché nominato segretario della Dc, due volte perché nominato presidente del Consiglio); quasi vent’anni dopo toccherà a Cossiga essere eletto a Palazzo Madama con il record di 280 voti, e che nel 1985 diventerà presidente della Repubblica. Nell’altro ramo del Parlamento sono gli anni di Gronchi e Leone, anche loro divenuti capi di Stato.

 Malagodi e Spadolini al Senato, Pertini alla Camera: la Dc si trova a dover dividere le cariche istituzionali con il Psi e il Pri. A Palazzo Madama per due volte, fino al 1994, viene eletto appunto Spadolini che la volta successiva viene però sconfitto per un solo voto, e che poco dopo morirà. Sarà eletto Sconamiglio (candidato di Berlusconi), grazie a una scheda inizialmente ritenuta non valida.

 Sono gli anni del compromesso storico e per la prima volta, nel 1976, un comunista ottiene la presidenza della Camera: Ingrao viene eletto nel luglio 1976 e resta in carica 3 anni; dopo di lui tocca alla prima presidente donna, Nilde Iotti, che viene sempre dal Pci e che mantiene l’incarico per tre Legislature. Dopo l’intermezzo Scalfaro, divenuto presidente di Montecitorio in un momento difficile come quello di Tangentopoli e che resta in sella meno di un mese per poi diventare Capo dello Stato, è il turno di Napolitano. Il Pci non c’è più, si è trasformato in Pds: l’incarico durerà due anni; anche lui salirà a Colle, ma più avanti, nel 2006.

Cambia la legge elettorale: gli italiani nel 1994 vanno al voto con il Mattarellum, un maggioritario con una correzione proporzionale, ed entrambi i vertici del Parlamento vengono affidati a esponenti di maggioranza: alla Camera arriva Irene Pivetti, eletta con la Lega. La logica ‘asso piglia tutto’ segna anche il centrosinistra, che elegge suoi uomini come nel caso di Violante alla Camera e Mancino al Senato; con l’Unione, al Senato siederà Marini, anche lui protagonista di schede contestate.

 Dal 2001, una presidenza, la Camera in genere, finisce per essere guidata da uno dei leader della coalizione che ha vinto: prima tocca a Casini, i cui rapporti con Berlusconi si incrinarono nel corso della Legislatura, poi a Bertinotti e infine a Fini. Negli ultimi due casi si arrivò ad una vera e propria rottura all’interno della maggioranza. Per entrambi il futuro sarà lontano dalla politica.

E’ il 2013, Bersani guida il Pd e fatica a trovare una maggioranza. Nel tentativo di aprire anche un dialogo con il M5S vengono eletti Pietro Grasso, magistrato, e Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr e candidata con Sel. Anche in questo caso, sotto i governi Renzi-Gentiloni i vertici del Parlamento si scontrano con i Dem e, a causa anche della legge elettorale, passano all’opposizione con LeU.

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