‘Passa un giorno, passa l’altro, ma il Decreto del Governo su Quota 100 e Reddito di cittadinanza non arriva. Ogni giorno ha la sua ‘bozza’, che corregge quella del giorno precedente’, dichiara Cesare Damiano, leader dei Laburisti Dem. Questo ‘prendere tempo’ – continua – nasconde il fatto che, molto probabilmente, i conti non tornano con la Ragioneria e che le promesse non fanno il paio con le risorse disponibili. Il Pd deve avere la capacità di fare proposte alternative. Protestare è doveroso, ma non basta, e, soprattutto, non possiamo apparire come quelli che sono contro le Quote e contro il sostegno ai più poveri, tutte misure che abbiamo inventato noi e che ci sono state malamente scippate dai gialloverdi. Cominciamo a dire quello che vogliamo: il Decreto deve decorrere dal primo gennaio. La retroattività serve per non avere un vuoto normativo che riguarda l’Ape sociale, che è scaduta il 31 dicembre scorso, e che deve essere resa strutturale. Non ci stanchiamo di ripeterlo: Quota 100 e Ape sono misure complementari, non si oppongono e non si sovrappongono. La prima favorisce chi ha carriere lunghe e continue, perlopiù i lavoratori, perché richiede un minimo di 38 anni di contributi. L’Ape favorisce invece chi ha carriere meno continuative, le lavoratrici, e chi svolge attività faticose: richiede solo un minimo di 36 anni di contributi (non 38) per le 15 categorie di lavori gravosi, soltanto 30 anni per chi è disoccupato e 28 per le donne disoccupate con due figli. Quota 100, da sola, non risolverebbe un problema di equità sociale. Va rivista la normativa che consente ai disoccupati l’accesso all’Ape sociale: va riformulata la legge n.232 del 2016 (art 1 comma 179) che afferma che l’Ape va riconosciuta a coloro che ‘si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale’, sopprimendo con un emendamento la parte del testo che prevede che ‘hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi’. Non deve più essere necessario aver utilizzato gli ammortizzatori. In questo modo si risolverebbero molti problemi, considerato il fatto che di 76.049 domande per l’Ape, ben 57.572, il 75,7%, sono relative a disoccupati. Attivare la nona salvaguardia degli esodati, che riguarda al massimo 6.000 lavoratori. Ripristinare l’indicizzazione delle pensioni, come concordato dal precedente Governo con i sindacati, applicando il modello a ‘scaglioni’ ante legge Fornero. La soluzione adottata dal Governo colpisce le pensioni oltre i 1.500 euro lordi mensili. Non sono ‘pensioni d’oro’. Chiarire il meccanismo della ‘pensione di cittadinanza’, i cui contenuti non sono ancora noti e non sono sufficienti le dichiarazioni fatte nelle conferenze stampa. I pensionati che hanno pensioni fino a 500 euro lordi mensili sono 2.017.774, dati 2017, con pensioni medie pro capite di 3.404 euro all’anno. Per portare gli importi a 9.360 euro (780×12 mensilità), considerando solo chi è sotto i 500 euro, occorrono 12 miliardi. Anche se tagliamo a metà la risorsa necessaria, perché non tutti avranno diritto, si tratta pur sempre di una cifra ragguardevole. Dove sono questi soldi? Senza considerare il fatto che a cifre di pensione da 700-800 euro oggi si arriva con molti anni di contributi. Da adesso in poi non serviranno più? Il futuro sarà fatto di lavoro nero?. Queste sono le proposte che mi sento di formulare e che, mi auguro, dovrebbero far parte della battaglia di opposizione del Pd.
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