Damnatio memoriae

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da James Hansen:

La versione secondo la quale manca il naso alla Sfinge di Giza perché lo
fecero saltare con una cannonata le truppe di Napoleone durante l’invasione d’Egitto è una balla storica, propaganda antifrancese
d’antan. Il cronista egiziano Al-Maqrīzī, scrivendo nel 15° secolo, già attribuiva
la menomazione ad un’arruffapopoli musulmano Sufi, Muhammad Sa’im al-Dahr,
inferocito dall’usanza degli islamisti locali che facevano offerte alla Sfinge nella speranza di controllare le inondazioni periodiche del Nilo. Il suo atto vandalico sarebbe stato in seguito punito con la morte.

L’iconoclastia—una sorta di sistematica distruzione dei simboli delle
credenze del passato—è una pratica antichissima che ricorre
periodicamente nella storia umana. Al confronto con i grandi contrasti
che furono—come l’iconoclastia bizantina che contribuì a dividere in
maniera permanente la Chiesa cristiana d’Oriente da quella Occidentale
—l’attuale moda di imbrattare o decapitare le statue di notabili storici
tacciabili di razzismo o di schiavismo è poca cosa.

La riscrittura della storia attraverso la rimozione dei suoi simboli, soprattutto politici, ha un nome convenzionale: damnatio memoriae, una locuzione latina che significa letteralmente “condanna della memoria”. Nel diritto romano il termine indicava una pena che consisteva nella cancellazione di qualsiasi traccia della vita di una persona, come se non fosse mai esistita. Si applicava in particolare ai potenti caduti in disgrazia. In maniera meno formale, l’usanza non è mai scomparsa. Sono svanite in
massa le statue di
Ceauşescu, di Mussolini, di Saddam Hussein ed altri nel momento in cui la sconfitta li ha trasformati da salvatori della Patria in traditori.

Il popolo tradito non è sempre perfettamente preparato in fatto di storia e può fare confusione. Così, a Winston Churchill, un uomo imperfetto, ma sicuramente uno dei principali architetti della sconfitta del
Nazismo, ora viene dato del fascista. Negli Usa è vilipesa la memoria di Abramo Lincoln—“Come si permette un bianco di liberare gli schiavi che già non dovevano essere in schiavitù?”—e anche quella di Cristoforo Colombo, reo di aver scoperto il “Nuovo Mondo”, aprendo così un continente intero allo schiavismo nero e, già che c’era, facendo un terribile dispetto agli indiani d’America.

Si tratta, è evidente, di iconoclastia “light”, più una moda che una rivoluzione. Lo rivela la proposta che gira ora sui social di smontare blocco per blocco le Piramidi di Giza, “colpevoli”—forse, gli egittologi
smentiscono—di essere state costruite da schiavi. A questo punto è praticamente inevitabile che qualcuno proporrà lo smantellamento del Colosseo, dove la storia registra con precisione la pratica di far
combattere schiavi/gladiatori fino alla morte al mero scopo di far divertire il popolo romano.

Il passato è ricco di tremendi atti di crudeltà. È pure vero che, anche attraverso violenze terribili, siamo perlopiù riusciti ad abolire la schiavitù, il comune abuso del lavoro minorile ed altre ingiustizie del
genere. Però, se semplicemente rimuoviamo il passato, se riusciamo a cancellarlo come se non fosse mai esistito, come faremo a sapere dove stiamo andando?

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