Stefania Prestigiacomo ha rilasciato una secca dichiarazione riguardo alle parità di genere respinte dall’Aula di Montecitorio: “Non è vero che è stata data libertà di voto. Il mio partito, di ispirazione liberale, non ha lasciato nemmeno la libertà di coscienza e quindi intervengo in dissenso dal mio gruppo e lo faccio con orgoglio e a viso aperto”. Stefania Prestigiacomo aveva capeggiato la fronda “azzurra” delle quote rosa con grande tenacia e determinazione. Ha poi perso ma con l’onore delle armi. Pareva che le novanta deputate “trasversali” potessero farcela in verità. Mara Carfagna aveva detto di aver parlato con Silvio Berlusconi ed aveva annunciato un’accoglienza favorevole degli emendamenti. Male che andasse, ci sarebbe stata libertà di voto. Invece è andata male. “Il governo si è rimesso all’Aula, così come il mio partito ha dato libertà di voto assieme al Pd e ad altri partiti”, aveva spiegato il capogruppo FI Renato Brunetta “per cui non si capiscono polemiche o dissensi quando è valsa la più alta libertà su un tema ancora così controverso”. Si era capito che la battaglia era persa quando è arrivato il diktat “azzurro” che annotava che l’emendamento sulle quote rose era incostituzionale. L’avversario più risoluto alle quote rosa è stata Daniela Santanché. A suo dire voleva risparmiare alle donne la sudditanza, perché sarebbero stati loro, gli uomini, a sceglierle, ed avrebbero dovuto rispondere delle loro scelte. Quindi, meglio niente.