Si alza la polemica su Daniela Santanchè, ministro del Turismo finito al centro della bufera dopo l’inchiesta giornalistica di Report sui bilanci in rosso delle sue aziende, tra cui Visibilia, e i presunti debiti milionari con lo Stato.
Le dipendenti Ki Group in Senato smentiscono la versione della ministra Daniela Santanchè, che ha sostenuto di non aver avuto nulla a che fare con la gestione della società del biologico, che sarebbe stata in mano solo all’ex compagno Canio Mazzaro e al figlio Lorenzo. Prima e durante la conferenza stampa indetta dal presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, alla quale hanno partecipato insieme al loro avvocato Davide Carbone, hanno risposto alla ministra “che quindi ha mentito”, ha ribadito Conte annunciando la presentazione della mozione di sfiducia.
Monica Lasagna, ex responsabile fornitori, dice : “Io non ho nulla contro la ministra. Io ho lavorato per Ki Group per 30 anni, ho dato le dimissioni nel mese di settembre e a novembre avrei dovuto incassare il mio tfr di 44 mila euro Mi è arrivata la busta paga non i soldi nel conto. Per me lavorare con Santanchè, la senatrice Santancè, era un onore ma sono disillusa. Mi sono sentita presa in giro, e poi oggi durante il suo intervento ha detto che con Ki Group non c’entra a niente: ma io avevo contatti diretti con lei e facevo riunioni ogni 15 giorni con i dipendenti e mi dava istruzioni”.
Aggiunge Raffaella Caputo, altra dipendente Ki group: “Ho lavorato per 22 anni e attendo anche io il tfr e la delusione più grande era quella che pensavamo di essere salvate dalla senatrice invece c’è stato soltanto il declino. Era una azienda sana. Ho lavorato in amministrazione, poi ad agosto ci hanno messo in cassa integrazione e licenziato. Avevamo il figlio Lorenzo Mazzaro che ci dava istruzioni e quando aveva dubbi chiamava la mamma”.
Presente anche l’agente di commercio Ennio Cecchinato: “Sono agente commercio di Ki Group e facevano gli ordini ma la merce non arrivava più. La Santanchè era presente e dovevamo riferire a lei. Quello che chiediamo alla Santanchè è che onori i suoi doveri”.
La Santanchè si è difesa in Senato dicendo di non essere stata “mai raggiunta da alcun avviso di garanzia”, ma viene smentita dagli atti della Procura.
Il Corriere della Sera, nell’occasione, ha fornito un quadro reale della situazione svelando che il ministro “fa finta di non sapere”, accusando la stampa di fornire realtà non veritiere.
Il ministro Santanchè risulterebbe indagata da 8 mesi, precisamente da novembre quando il suo nome balzò nel registro degli indagati per falso in bilancio nelle comunicazioni 2016-2020 di Visibilia Editore spa. Già a novembre la notizia venne riportata dal giornale non come scoop, ma perché già da due mesi prima veniva sottolineato dai pm “la sussistenza del reato di false comunicazioni sociali”.
Ma alla base della “mancata comunicazione” dell’avviso di garanzia al ministro ci sarebbe un ostacolo procedurale del quale la stessa Santanchè sarebbe ben informata.
Cercando di smentire la notizia del Corriere di novembre, infatti, sembra sia stato fatto ricorso all’articolo 335 3 bis, ovvero la facoltà in caso di indagini complesse di ritardare la comunicazione dell’iscrizione. Ma oltre a questo ci sarebbe anche un ritardo dovuto a un iter procedurale.
Infatti, dopo sei mesi dall’iscrizione, i pm devono chiedere per forza la proroga delle indagini al giudice delle indagini preliminari che a sua volta deve notificare la richiesta di proroga all’indagato per informarlo delle indagini a suo carico. Questo passaggio va fatto tramite l’invio di una breve PEC al legale dell’indagato, cosa non giunta a Santanchè.
Il Corriere della Sera è chiaro: nel caso del falso in bilancio di Visibilia Santanchè non avrebbe mai conferito un formale mandato a un avvocato penalista, mentre il civilista che la segue nelle udienze fallimentari delle società non ha titolo.
In questi casi la richiesta della proroga viene notificata al domicilio dell’indagato, e se ne ha prova quando al gip torna la “cartolina” dell’Ufficiale Giudiziario che attesta la riuscita consegna. Ma proprio questo iter è ancora in corso ed è dunque incompleto.
E intanto dall’ufficio stampa del ministro Santanchè è arrivata una nota in risposta a quanto circola in rete. Si legge infatti che il ministro “apprende da comunicati che risulterebbe iscritta nel registro degli indagati”.
Dai comunicati risulterebbe che l’informazione sarebbe stata resa disponibile ai mezzi di informazione “a seguito della de-secretazione del relativo fascicolo, de-secretazione avvenuta trascorso il periodo di legge di tre mesi dall’inizio delle indagini”. In altre parole “la de-secretazione sarebbe stata disposta intorno al mese di gennaio/febbraio 2023, mentre la stessa notizia – mai ricevuta dall’interessata – sarebbe stata fornita ai mezzi di informazione, in concomitanza proprio con l’audizione resa in Senato dal Ministro”.
Daniela Santanchè, comunque, è salva, almeno per ora. Al Senato ha incassato la solidarietà della maggioranza, visto che la premier ha chiesto di fare quadrato alla maggioranza. Molti erano per questo imbarazzati, come dicevano i volti di Elisabetta Casellati, di Matteo Piantedosi e di Matteo Salvini. Solo tre ministri hanno abbracciato la Santanchè dopo il discorso: Annamaria Bernini, Calderone e Luca Ciriani.
In aula Santanchè coglie in modo rapido l’appiglio lanciato dal quotidiano Domani, anticipando di fatto la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati: “È normale che un ministro sappia di essere indagato da un giornali? Basta con “certe pratiche schifose’’. Io, affermo sul mio onore che non stata raggiunta da alcun avviso di garanzia”. E comunque “non cambierebbe nulla. È giusto che un giornalista possa scrivere che conosce cose segretate dalla magistratura, ignote all’interessato e ai suoi avvocati?”.
Soprattutto, nega ogni accusa. Difficile dire se abbia ragione: i temi sono più di competenza del diritto amministrativo e fallimentare che della politica. Certo, incespica su tre punti importanti: i dipendenti al lavoro nonostante fossero formalmente in cassa integrazione, i debiti non saldati con alcune aziende gli oltre due milioni non restituiti allo Stato. A rinfacciarglieli sono i 5stelle e il Pd, ma a cavalcare la vicenda intende essere principalmente il Movimento.
“Che senso ha una mozione che verrebbe respinta”, dice alla fine della seduta il capo dei senatori Pd, Francesco Boccia. Non è solo una questione di insensatezza: una mozione di tutte le opposizioni respinta finirebbe per blindare la ministra più di quello che accadrà quando a essere bocciata sarà solo la mozione pentastellata, ancorché a votarla saranno tutte le minoranze.
La fuga di notizie irrita talmente la premier che pronostica un iter rapidissimo per approvare la riforma della giustizia di Nordio. “Non è possibile che un indagato sappia di esserlo leggendo un giornale”, dicono a Palazzo Chigi.
Giorgia Meloni, in verità, è furiosa per una vicenda che restituisce un’immagine del governo e del suo partito opposta a quella che intende dare. Se l’inchiesta andando avanti scoprirà altri altari segreti, dopo la pausa estiva, il problema potrebbe essere risolto con un rimpasto che permetterebbe alla premier di liberarsi di quei ministri che in questi mesi ha trovato inadeguati.