Ne scrive il quotidiano La Verità, citando la seduta della commissione parlamentare per l’Infanzia presieduta dal leghista Simone Pillon, convocata per far luce su quelle linee guida che avevano suscitato clamore sia per l’impostazione – favorevole al «cambio di sesso» dei minori con disforia di genere -, sia per le prese di distanza da parte della Regione e dell’Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma.
Il quotidiano riporta a mo’ di esempio, l’intervento del dottor Luca Chianura. Il responsabile di Psicologia clinica presso il SAIFIP (Servizio di adeguamento tra identità fisica ed identità psichica) del San Camillo Forlanini di Roma. «Mi trovo un po’ a disagio, non capisco qual è il senso di questa audizione», ha detto il dottor Chianura.
Abbiamo parlato sul nostro giornale, qualche giorno fa, del Tavistock, l’ospedale britannico che ha seguito centinaia di «cambi di sesso» di minori. Tutto questo prima di finire al centro di uno scandalo giudiziario. Lo stesso Chianura da una parte ha preso le distanze dalla struttura britannica («noi abbiamo un protocollo diverso»), ma dall’altra al Tavistock ha riservato parole d’encomio: «È ancora oggi il punto di riferimento per tutti i servizi dell’età evolutiva del mondo».
Fortemente curioso l’uso del termine ‘età evolutiva’.
I commissari hanno chiesto ragguagli sulla collaborazione del Saifip con lo psichiatra Domenico Di Ceglie, che del Gids è stato direttore e che risulta vicino al gruppo autore delle linee guida laziali. Linee che vorrebbero imporre il ddl Zan di fatto.
Quando i membri della Commissione Infanzia hanno citato il caso di Keira Bell, trans pentita, che ha citato i medici inglesi per danni. “Un caso isolato”, hanno tagliato corto gli esperti. Il dogma gender non può essere discusso.
‘A questo punto, in questa condizione parlamentare, difendere il ddl Zan, rifiutando qualsiasi mediazione, significa perdere un appuntamento storico con i diritti. Il disegno di legge va sostenuto con equilibrio ed intelligenza, ammettendo qualche piccola modifica sui punti più controversi insieme a quei gruppi parlamentari che alla Camera hanno approvato la legge. Lo sottolineo: andare avanti con ostinazione con i numeri del Senato, vuol dire soltanto andare a sbattere. Un’ipotesi che il Pd non può accettare in alcun modo: per questo va rilanciata la proposta del collega Alessandro Alfieri’, è l’appello del senatore dem Andrea Marcucci.
In realtà, vista l’evoluzione delle vicende relative al Ddl Zan, si assiste, da parte dei promotori del Ddl Zan, il rifiuto politico di praticare quella che è nota come ‘cultura della mediazione’, che è la capacità politica nel costruire, di volta in volta, la miglior sintesi possibile per il bene del paese.
La ‘cultura della mediazione’ respinge alla radice qualsiasi forma di radicalizzazione del confronto; non criminalizza l’avversario, non prevede la delegittimazione morale e politica dell’interlocutore e, soprattutto, cerca sempre la miglior sintesi politica possibile non attraverso un compromesso al ribasso ma, semmai, con una “mediazione alta”, appunto.
Per i democratici cristiani del passato era la strada migliore per la ricerca di una convergenza politica e parlamentare che restava l’obiettivo finale della stessa azione politica.
Oggi siamo in una stagione politica dominata dal populismo, dal trasformismo e dall’opportunismo politico e parlamentare.
Non a caso, l’ideologia grillina, ora condivisa e sposata dal nuovo corso del Partito democratico di Letta, non prevede la “cultura della mediazione”.
La vicenda politica, parlamentare e legislativa della ‘legge Zan’ rifiuta la ricerca di una mediazione, o di un accordo, o di un confronto viene visto e percepito quasi come un attentato alla attuale dialettica politica e parlamentare.
Video: Ddl Zan, la cultura arcobaleno a scuola (Mediaset)
Il professor Alberto Gambino, giurista ordinario di Diritto Privato e avvocato della Cassazione, non vede di buon occhio l’evoluzione in termini politici dei diritti LGBT, ovvero il Ddl Zan. Nell’intervista a “Libero Quotidiano” Gambino sottolinea come con il disegno di legge in arrivo al Senato il prossimo 13 luglio «Si introduce una norma che fa diventare legge una definizione culturale, ”identità di genere”. Così facendo, chi esprime una legittima opinione rischierà il carcere».
Preti, docenti, studenti e chiunque potrà finire sotto il “giogo” della legge, secondo il professore: «C’è un dibattito infinito su questo concetto, se sia una definizione scientifica o ideologica. Non si può imporre per legge. Oggi, se non affido un corso di filosofia teoretica a chi aderisce a questa teoria, posso farlo. Dopo questa legge, sarebbe un atto discriminatorio. Non stiamo parlando di colore della pelle, di opzione religiosa». Viene fatto un esempio “limite” da Gambino, potrebbe anche sembrare “assurdo” ma con l’approvazione del Ddl Zan nel testo attuale non sarebbe da escludere: se un docente non aderisce alla teoria dell’identità di genere e un suo alunno dovesse dare una spinta ad un altro compagno omosessuale, «è facile che si possa dire che è derivato dall’insegnamento di quel docente».
Per il professor Gambino rischi ve ne sono anche sul fronte disforia di genere: «Nel momento in cui si ritiene fondato che la percezione di me stesso, a livello sessuale, sia la bussola che deve orientare le mie scelte sessuali, inevitabilmente si possono verificare situazioni di minori che, in una normale fase di incertezza, sono spinti a cambiare sesso più facilmente». Per il giurista il Ddl Zan è una legge sostanzialmente «maschilista» introducendo infatti la possibilità che persone con fattezze maschili potranno entrare nel mondo dello sport e in generale dovunque vigono legislazioni sulle quote rosa. Ma è da genitore che Gambino espone la sua più profonda preoccupazione in merito al disegno di legge e in particolare all’articolo 7 che impone a tutte le scuole di istituire una giornata contro l’omo-transfobia: «si dirà a tutti i ragazzi che l’identità di genere è legittima», ebbene questa per Gambino è una norma che rischia di ribaltare «il principio costituzionale secondo cui l’educazione spetta ai genitori, non alla scuola».
«Se l’identità di genere diventa un diritto, viene meno la libertà di chi non la pensa così. È come se in una legge si scrivesse che la vita è sacra. Se non lo dici, vai in carcere»: ancora più esplicito il professore aggiunge «Chiunque può essere come vuole, ma non deve impedire a me di ritenere che la percezione di sé come elemento che contraddistingue il sesso biologico è destituita di fondamento. Posso dirlo? Con questa legge, non posso». Per tutti questi motivi, la necessità che quel testo venga modificato viene ad essere non solo urgente ma necessario.