Con 83 si, 57 no e 6 astenuti, semaforo verde dell’Aula del Senato al decreto sulla governance del PNRR. Il provvedimento passa alla Camera e va convertito entro il 25 aprile.
L’impatto del PNRR sul PIL si potrebbe tradurre in un 1% in più quest’anno, fino ad una potenziale spinta del 3,4% nel 2026, anno finale del Piano. È la stima contenuta nel Programma nazionale di Riforma allegato al Def. Nell’ipotesi di realizzazione integrale di tutti i progetti del Piano così come attualmente previsti, quest’anno il Pil risulterebbe più alto dell’1% rispetto allo scenario che non considera tali spese, nel 2024 la spinta sarebbe dell’1,8%, nel 2025 del 2,7%, nel 2026 del 3,4%. La valutazione considera solo le risorse per progetti aggiuntivi, non quelli che si sarebbero realizzati anche senza il Pnrr.
Nella delega fiscale verrà riservata attenzione alle famiglie: “sono allo studio misure, nel quadro del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e degli equilibri di bilancio, per aumentare gli importi base dell’assegno unico, aiutare le famiglie con figli neonati e le famiglie numerose, nonché per superare alcune criticità emerse dopo la prima annualità di applicazione”.
“Il primo obiettivo è superare gradualmente alcune delle misure straordinarie attuate negli ultimi tre anni e individuare nuovi interventi sia per il sostegno ai soggetti più vulnerabili che per il rilancio dell’economia”, scrive nel Def il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, soffermandosi in particolare sui bonus edilizi: “la normalizzazione della politica di bilancio” passa anche attraverso la revisione degli incentivi come Superbonus e bonus facciate, che hanno avuto un tiraggio “nettamente superiore alle stime”. Per questo il governo intende “rivedere l’intera materia degli incentivi edilizi” combinando l’efficientamento con la sostenibilità della finanza pubblica e l’equità distributiva.
Inoltre, nel prossimo triennio “verranno stanziate risorse per le cosiddette politiche invariate, quali quelle relative ai rinnovi contrattuali”.
Il continuo aumento dei costi delle materie prime e della manodopera (accentuata ultimamente anche dal conflitto bellico tra Russia e Ucraina) stanno mettendo in ginocchio il settore edilizio. Molte imprese non riescono, per questo motivo, a rispettare il termine dei lavori pattuito con i committenti. Ciò si ripercuote anche su questi ultimi, ed in particolare sulla possibilità di godere dei bonus casa.
Su tutti ci riferiamo al bonus 110. Infatti, per aver diritto a questa agevolazione fiscale è previsto che i lavori debbano essere terminati entro una certa data o che, comunque, entro una certa data siano completate almeno una certa percentuale di Sal (stato avanzamento dei lavori) del 30%. Vediamo in che modo può tutelarsi il committente nel caso in cui l’impresa non finisca i lavori nel termine pattuito.
Quando ci si può difendere se i lavori non vengono terminati
Ovviamente la legge prevede dei mezzi di tutela per il committente, che vanno dall’intimazione ad adempiere al risarcimento del danno per l’inadempimento. Se la ditta edile interrompe i lavori o non li termina entro il periodo previsto è necessario adire le vie legali, promuovendo una causa civile necessaria a quantificare l’inadempimento e predisporre, poi, le risoluzioni.
A tal fine, il contratto sottoscritto dalle parti è senza dubbio una prova definitiva dell’obbligo in capo alla ditta, ma non è indispensabile.
In particolare, è sufficiente qualsiasi prova documentale, ad esempio il preventivo dell’appaltatore, purché provi che i lavori sono stati affidati in un unico momento, e non in tempi diversi. Per questo, è opportuno inserire delle clausole (ne esistono di vari tipi contemplati dai formulari delle associazioni di categoria) che “bilancino” i rischi soprattutto quando l’esecuzione dell’opera dipenda da forniture di componenti e di altre materie prime di cui l’impresa edile è costretta ad approvvigionarsi da altre imprese.
La dimostrazione che la commissione alla ditta edile comprendesse anche i lavori non eseguiti è indispensabile per determinare l’inadempimento, basato quindi sulla differenza fra le opere previste e quelle mancanti. Nel dettaglio, presupponendo la natura indivisibile della prestazione si configura un inadempimento totale anche nel caso di inadempimento parziale. In altre parole, se la ditta ha già eseguito alcuni lavori ma li abbandona senza completarli, è imputabile per l’inadempimento totale, in quanto la commissione prevedeva la realizzazione unitaria del progetto.
Come provare la commissione dei lavori se non c’è un contratto
L’esistenza di un contratto scritto non è essenziale, in quanto si presuppone che la commissione dei lavori abbia di per sé generato un rapporto di fiducia fra le parti. In questo modo, si realizza comunque un contratto, che non è scritto bensì di tipo verbale.
Per quanto riguarda il contratto d’appalto, infatti, la legge ammette la forma libera (tranne alcune eccezioni per la costruzione di navi e aeromobili). Gli elementi portanti del contratto rimangono gli stessi e vertono sui rispettivi obblighi delle parti. Obblighi di tipo funzionale, che non possono venire a mancare senza pregiudicare il contratto stesso. Nella pratica, questo significa che se il committente non paga o la ditta non esegue i lavori, la parte lesa ha il diritto di tutelarsi.
Mancati lavori, come tutelarsi
Un primo passo, che il committente, potrebbe fare laddove si accorga che la ditta cui si è affidato, per eseguire i lavori ammessi al bonus 110, non riesca a rispettare i tempi di ultimazione, è quello di sostituire l’impresa stessa.
Altra strada percorribile è quella di far leva su eventuali penali incluse nel contratto di affidamento dei lavori. Penali che scattano, appunto, in genere nel caso in cui la ditta non rispetti i tempi di lavoro pattuiti recando un danno al committente. Si consiglia, dunque, sempre di far inserire queste clausole all’interno dei contratti di appalto in modo tale da avere maggior tutela e ricevere un risarcimento per il danno subito (come quello della perdita del bonus 110).
Cosa sostiene la giurisprudenza sulla questione
Quando un’impresa edile viene commissionata per eseguire determinati lavori al cliente, si instaura un rapporto di fiducia tra le parti che lascia presupporre la corretta esecuzione delle opere da parte dell’imprenditore e il pagamento del corrispettivo da parte del committente. Questo significa che quando uno di questi presupposti viene meno, l’altro acquisisce il diritto di tutelarsi e di vedere riconosciuto il proprio diritto.
In questa direzione, l’art. 1455 c.c. assume un ruolo di rilievo quando contempla che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Nel caso specifico, questo accade quando la ditta edile abbandona i lavori e le opere non realizzate sono superiori a quelle già prodotte. In questo senso, rileva nuovamente l’unicità della prestazione, importante per determinare proprio l’inadempimento.
Sempre il citato articolo 1455 del Codice civile prevede l’intimazione e la diffida ad adempiere. Il committente ha quindi la facoltà di intimare in forma scritta il completamento dei lavori alla ditta. L’intimazione deve anche contenere il termine (non inferiore a 15 giorni) oltre il quale il contratto si considera risoluto. Altrimenti, anche la risoluzione giudiziale è utile per determinare lo scioglimento del contratto e quindi dispensare il committente dall’obbligo di pagamento.
Il rimedio principale è quindi rappresentato dalla risoluzione del contratto, grazie alla quale il committente può non pagare la parte rimanente non eseguita (o ricevere in restituzione quanto già corrisposto relativamente all’inadempimento). Oltretutto, la giurisprudenza ammette anche la richiesta di risarcimento danni per l’inadempimento, oltre che per vizi e difformità nelle prestazioni.
I ritardi sulla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con cui vanno gestiti i fondi del Next generation Eu, non sembrano comunque mettere in discussione l’arrivo della terza tranche da 19 miliardi di euro. “Io non sono preoccupato affatto per l’erogazione richiesta a fine dicembre”, ha detto il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni: “Penso che i punti che sono ancora da chiarire saranno chiariti” e “vedo grandissima buona volonta’ da parte del governo”.
“Le previsioni per il 2023 sono in miglioramento, ci aspettiamo variazioni congiunturali positive del Pil nella prima meta’ dell’anno che ci porteranno a rivedere leggermente verso l’alto l’obiettivo di crescita per il 2023 precedentemente indicato a +0,6%”, ha fatto sapere Giorgetti.
«Sul Pnrr purtroppo l’attuale governo si è trovato a dover risistemare molte cose che non vanno perché il piano è stato fatto in modo troppo frettoloso dal governo Conte II», ha spiegato Giovanbattista Fazzolari ricostruendo la cronologia dei fatti a Radio 24. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, intervistato da Maria Latella, ha smontato le ricostruzioni approssimative delle opposizioni.
Per quanto riguarda il confronto con Bruxelles, «la commissione ha chiesto maggiori dettagli su alcuni degli obiettivi dichiarati come raggiunti dal precedente governo. Lo faremo, lo specificheremo meglio» ha aggiunto, ribadendo che «l’obiezione non riguarda obiettivi presentati da questo governo». «Siamo arrivati in una situazione di grande difficoltà a rispettare determinate scadenze del precedente programma» ha concluso Fazzolari, spiegando che «Fitto sta facendo uno straordinario lavoro».
Di sicuro, tra le variabili che impatteranno sulla crescita del Pil c’è appunto lo stato di attuazione del Pnrr. Un’occasione che appartiene a tutti, come ha ribadito anche Pierferdinando Casini, in un dibattito pubblico. «Sul Pnrr ritengo stucchevole dare la colpa al governo. Anche se ci fosse stato Conte o Draghi, la difficoltà che noi abbiamo è una Pubblica amministrazione che non ha, per tanti versi, il numero di competenze necessarie per leggere in atto questo progetti. Il fatto che oggi ci potessero essere delle difficoltà era largamente prevedibile. Chi dice che non ne sapeva niente – dice il senatore Pd – mettendo in capo a Fitto le responsabilità fa il teatrino della politica».
Come ricorda Maurizio Gasparri, «il Pnrr è una grande occasione che il Paese non deve sprecare e che appartiene a tutti, non a una parte o ad un governo in carica. Il merito, di queste ingenti risorse ottenute dall’Italia, è di tanti. Berlusconi e Tajani, nel Ppe, lavorarono in maniera incisiva per far sì che le Autorità comunitarie varassero questo progetto. Si sono poi alternati governi diversi intorno a questo dossier. Il governo Conte – prosegue il vicepresidente del Senato – purtroppo elaborò dei programmi inadeguati ma non poteva fare di più, visto il tipo di esecutivo che c’era all’epoca, con i Di Maio al timone. Tuttavia le intenzioni sembravano positive. Il governo Draghi, nonostante il prestigio del Presidente del Consiglio, avendo alcuni professori alla Giavazzi, ha commesso alcuni errori a cui poi, successivamente, è stato posto riparo».
Secondo Gasparri, «il governo Meloni sta agendo con incisività, prendendo le cose buone del passato e correggendo gli errori fatti da altri. L’Europa deve dare tempo all’Italia e agli altri Paesi. Sono tanti gli Stati in netto ritardo e, anzi, l’Italia è in un gruppo di testa negli adempimenti. Perché vanno dette delle verità. Bisogna poi esprimere comprensione per sindaci di sinistra che, come Sala, chiedono soldi ma non sono riusciti nemmeno a trovare lo spazio per piantare degli alberi, nel quadro dei programmi finanziati con i fondi europei. Oppure come il sindaco di Firenze, che propone di mettere nel Pnrr gli stadi, mentre dovremmo dare priorità alle infrastrutture, alla sanità e alle scuole. I sindaci di sinistra hanno fatto degli errori che dovranno correggere, perché Sala e altri screditano l’Europa, introducendo argomenti impropri e secondari nei piani del Pnrr. L’Italia raggiungerà, grazie all’attuale governo, importanti risultati per i quali tutti devono collaborare. I sindaci di sinistra correggendo i loro errori, i gruppi di opposizione per compensare gli errori che hanno fatto quando erano al governo. Tutti insieme daremo all’Italia mezzi e strumenti fondamentali per il futuro di tutti», conclude l’esponente di Forza Italia.
‘Nessun ritardo sul Piano nazionale di ripresa e resilienza e la garanzia che l’Italia non sprecherà le risorse europee’. Giorgia Meloni smina il campo da possibili polemiche sul Pnrr: “Non prendo in considerazione l’ipotesi di perdere le risorse” del Pnrr, prendo in considerazione l’ipotesi di farlo arrivare a terra in maniera efficace. Complessivamente il clima di collaborazione con l’Ue è un ottimo clima. Non sono preoccupata dai ritardi sul Pnrr, stiamo lavorando molto, non mi convince molto la ricostruzione allarmista” degli ultimi giorni”.
Il presidente del Consiglio ha poi chiarito che l’esecutivo è al lavoro “anche per favorire soluzioni a problemi che oggi nascono ma che non sono figli delle scelte di questo governo”.
“La Commissione europea “su alcuni progetti che erano già inseriti nel Pnrr – spiega Meloni – sta chiedendo maggiore documentazione e noi la stiamo fornendo. Certo – conclude – c’è un grande lavoro da fare e, come io ho detto forse prima di altri, su alcune cose bisogna verificare la fattibilità, però è oggetto di una interlocuzione con la Commissione sulla base di quello che noi riteniamo sia necessario per spendere queste risorse al meglio”.