Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta durante la presentazione del libro "Strana vita, la mia" di Romano Prodi e Marco Ascione presso la libreria La Feltrinelli, Roma, 21 settembre 2021. ANSA/ANGELO CARCONI

Di Maio e la crisi esistenziale del Pd

Le parole di Enrico Letta sulla prima pagina di Repubblica: «È prematuro parlare di Di Maio nel nostro partito, ma dialogo con tutti» sono sconcertanti. A domanda sull’ipotesi che Luigi Di Maio aderisca al Partito democratico, il segretario del Pd ha risposto che sono «discorsi prematuri». Tempo al tempo.

Luigi Di Maio, per chi non lo ricordasse, era candidato alle ultime elezioni politiche come capo di un movimento che si è sempre posto quale principale obiettivo quello di spazzare via la «piovra» del Pd (per usare le parole di un loro indimenticabile manifesto del 2016), lo stesso Di Maio che nel 2019 accusava in un video i democratici di togliere alle famiglie «i bambini con l’elettroshock per venderseli». Il fatto che al termine della stessa legislatura si parli dell’ipotesi di una sua adesione al Pd, e che il leader del Pd definisca tale ipotesi semplicemente prematura, dà l’idea di come è ridotta la politica italiana e di come è ridotto il Pd.

Negli ultimi undici anni il Partito democratico è stato all’opposizione soltanto per la fuggevole stagione del governo gialloverde, tra 2018 e 2019. Per buona parte dei restanti dieci anni è stato il principale sostenitore di governi di larga o larghissima coalizione, in nome della responsabilità nazionale.

L’idea di condurre una battaglia politica per conquistare consensi nella società sembra essere completamente uscita dal suo orizzonte.

Sta di fatto che tolta la politica – intesa come lotta per affermare una posizione, per rappresentare qualcuno e qualcosa – quello che resta è solo un insensato gioco delle poltrone: fine a se stesso, autoreferenziale, incomprensibile. Un ritratto che paradossalmente corrisponde proprio al modo in cui il Movimento 5 stelle e Di Maio in particolare hanno sempre rappresentato il Pd.

In pratica tra qualche mese Luigi Di Maio potrebbe entrare nel Pd. Uno scenario clamoroso, visto che una manciata di anni fa era proprio l’allora capo del Movimento 5 Stelle a gridare “mai con il partito di Bibbiano”. Oggi il ministro degli Esteri ha lasciato i 5 Stelle per fondare il suo progetto dichiaratamente centrista, ‘Insieme per il futuro’, contro ogni populismo e sovranismo. Una dichiarazione di intenti che è insieme uno schiaffo a Giuseppe Conte, capo dei 5 stelle, e un sorprendente allineamento con il Nazareno.

Le chiacchiere sono arrivate all’orecchio di Enrico Letta che, sorprendentemente, non smentisce, e a Repubblica, come detto,  si limita a un molto diplomatico: “discorso prematuro”. Come dire, ne riparleremo tra qualche tempo. “Hanno fatto i loro gruppi parlamentari, hanno avviato il loro percorso”. E Conte? “Il concetto è che noi siamo il Pd, non scegliamo tra Conte e Di Maio, andiamo avanti sulla nostra strada e cerchiamo di tenere tutto”. Eccolo qua, il “campo largo” sognato da Letta che sta diventando sempre più un campo minato. “Nei mesi prossimi lanceremo un progetto per l’Italia, a conclusione del percorso delle agora’, che confronteremo con chi ci starà e sarà alleato con noi alle elezioni.” Quello che è accaduto nel M5s, comunque, “non cambia il progetto”. Comunque, assicura, “Draghi è più forte. Il passaggio parlamentare poteva mettere a rischio il governo e invece è uscito più forte”.

“In un Paese normale – commenta  Carlo Calenda, leader di Azione e potenziale alleato di Letta – Di Maio dovrebbe dire: ‘vado a riflettere sui danni che ho fatto’. E invece ora rinnega il populismo e parla di competenza. Ma il problema principale non è lui, che non è credibile, ma quelli che gli vanno appresso. Da Letta che dice ‘la nostra funzione è fare il magnete’. Di chi? Di Conte e Di Maio? Dei rottami? Che progetto politico è? Da Beppe Sala che Di Maio voleva mandare in galera al tempo dell’Expo, e ora dice ‘Si è ravveduto, però io continuo a fare il sindaco di Milano, però intanto faccio ‘Italia c’è’?”.

Il Partito democratico, in realtà,  certifica così la propria crisi politica ed esistenziale.

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